Servizio Civile, di pace e di lavoro

di Enrico Maria Borrelli

(di Enrico Maria Borrelli)

 Enrico_maria_borrelli_foto Il servizio civile ricorre sempre più frequentemente nel dibattito nazionale. Superato il guado che lo ha relegato per anni a materia di nicchia, il servizio civile ha conquistato oggi la sua prima, vera, scena pubblica. Declinato in vario modo, da sensibilità diverse, proposto da importanti giornalisti quale panacea ai mali di una società sfilacciata, indicato tra i punti principali nelle nuove agende politiche dei partiti. Un tema di attualità che sta catturando l’attenzione di politici, opinionisti, amministratori locali, giovani e adulti. Osservazione per nulla peregrina se si pensa che in oltre 40 anni (nasce nel 1972) di servizio civile se n’è discusso solo tra i pochi addetti ai lavori, molto spesso nella sola e sterile contrapposizione con il servizio militare. Ma il servizio civile è molto più che un fenomeno antagonista. Esso ha raggiunto la sua maturità affermandosi in questi anni come palestra di cittadinanza per migliaia di giovani (oltre 500 mila) che hanno scelto di impegnarsi per difendere i più deboli, per  tutelare l’ambiente, l’arte, la cultura del nostro Paese, riconoscendosi parte di una comunità alla quale hanno ritenuto doveroso offrire il proprio contributo. Un’affermazione inattesa, quella di una così diffusa pratica del dovere di solidarietà sociale (art.2 Cost.) testimoniata da tantissimi giovani, che da un lato stride con la crescente disaffezione dei cittadini per l’interesse comune e dall’altro, invece, evoca la possibilità di costruire una società più coesa partendo dalle nuove generazioni. E’ questa la sfida che tanto sta appassionando il dibattito nazionale.

Il servizio civile è stato introdotto  nel nostro ordinamento nel 1972 per dare una risposta a quei giovani che rifiutavano la coscrizione militare poiché obiettori di coscienza. Serviva uno strumento alternativo, sostitutivo di quello militare, che consentisse agli obiettori di adempiere senz’armi all’obbligo di leva (art.52 Cost.). Tuttavia, superando le stesse intenzioni del legislatore, il servizio civile ha costituito negli anni un’infrastruttura immateriale di servizi alla persona e ai cittadini, basata su un sistema di progetti realizzati da enti pubblici ed organizzazioni del privato sociale. Un servizio civile che si è via via specializzato e reso più efficace, trasformandosi da esperienza sostitutiva a strumento insostituibile. Attualmente il Servizio Civile Nazionale è l’unica forma istituzionale ed organizzata di Difesa Civile di cui dispone il nostro Paese. Una maturità meritata sul campo che, tuttavia, pone oggi il problema di una riforma che lo aggiorni alle mutate esigenze del Paese e, prima ancora, delle nuove generazioni.

Rinchiuso, com’era, tra i confini dei discorsi degli addetti ai lavori (istituzioni ed enti) il nodo principale è parso essere fino ad oggi esclusivamente il suo ancoraggio, necessario o meno, alla difesa della Patria. Questione ancora aperta, che vede contrapporsi prevalentemente lo Stato alle Regioni in una guerra di competenze economiche e di gestione. Perché se il servizio civile viene inteso come uno strumento di difesa della Patria, la competenza è affidata dalla Costituzione allo Stato centrale. Se invece lo si configura come un mezzo per sviluppare politiche socio-culturali, la competenza è affidata alle Regioni. Appare subito evidente come il dibattito sia lontanissimo da un proficuo confronto su come riformare, realmente, il servizio civile. Non giovano al processo di riforma del servizio civile nemmeno le diverse letture che dello stesso danno i politici e non lesinano di suggerire opinionisti e sociologi. Matteo Renzi, ad esempio, non manca di parlare di un servizio civile obbligatorio, immaginandolo a livello europeo, e anticipando una possibile integrazione con l’atteso “Job act” al quale sta lavorando. Sulla stessa frequenza, ma senza invocare necessariamente la cornice europea e senza collegarlo con il mondo del lavoro, si colloca anche Michele Serra dalle pagine del Venerdì di Repubblica che sostiene la necessità di reintrodurre la coscrizione per il solo servizio civile. Un approccio fortemente educativo, che vede nel servizio civile l’opportunità per lo Stato di reintrodurre l’educazione civica attraverso nuove forme. Una proposta di cui si è discusso già ai tempi del secondo governo Prodi e che tramontò per essere in contrasto, oltre che con il sentire dei giovani, con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.  L’attuale Ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, si è mostrato molto interessato al tema del servizio civile e, inserendolo tra le priorità della Garanzia Giovani (fondi europei destinati a contrastare la disoccupazione e l’inattività giovanile), lo annovera tra le esperienze (strumenti) utili a favorire l’occupabilità. In sintesi, una politica attiva del lavoro. Una recente sentenza del Tribunale di Milano, inoltre, ha costretto il Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale ad aprire il bando di selezione anche ai giovani stranieri, riconoscendo nel servizio civile una pratica di solidarietà sociale che deve essere estesa a chiunque abiti il nostro territorio. Insomma, uno strumento utile a favorire l’integrazione dei nuovi cittadini e, magari un domani, a favorire l’acquisizione della cittadinanza italiana. Dunque, una politica dell’immigrazione.

Minimo comune denominatore tra le diverse tesi sulla natura e le finalità del servizio civile è sicuramente quello dell’attenzione ai giovani, protagonisti indiscussi di questa esperienza, dei quali tuttavia non si indagano né si considerano le reali esigenze. Ma cosa può o deve rappresentare per i giovani il servizio civile?

Una recente ricerca di Arci Servizio Civile evidenzia che i giovani scelgono il servizio civile per un percorso di crescita personale (28%), per approfondire la loro formazione (13%), entrare nel mondo del lavoro (10%), aiutare gli altri (10%), fare nuove esperienze (11%), mettersi alla prova (7%) e solo il 14% lo fa per guadagnare qualcosa. Le aspettative che vanno oltre l’esperienza di servizio civile sono evidentemente prevalenti. Una riforma del servizio civile non potrà che tenere conto di queste esigenze e renderlo quanto più rispondente ai bisogni dei giovani. Ad esempio aggiornando i contenuti della formazione, integrandolo con i percorsi di studio scolastici e universitari, favorendone il collegamento con il mondo del lavoro e delle imprese, garantendo la certificazione e la valorizzazione delle competenze acquisite e, perché no, la possibilità di alternarlo con esperienze di lavoro in imprese.

Eppure il servizio civile non è solo un’opportunità di formazione per i giovani, rappresenta anche una preziosa occasione di avvicinamento delle istituzioni ai giovani sul terreno della cittadinanza attiva, dell’educazione alla legalità, alla diversità e alla pace. Da un’indagine condotta dall’IPSOS per conto dell’Istituto Toniolo, su “giovani e volontariato”, si evince che in Italia il 64,7% dei giovani tra i 18 e i 29 anni non ha mai avuto esperienze di volontariato. A conferma, una ricerca condotta da AMESCI nel 2012, segnala che circa il 62% dei giovani che fanno servizio civile non ha avuto precedenti esperienze di volontariato. Possiamo quindi ritenere che quanti più giovani abbiano la possibilità di fare servizio civile tanti più cittadini lo Stato avrà la possibilità di educare alla partecipazione. Un’occasione, questa, che non può e non deve contrastare con le esigenze dei giovani stessi facendo ripiegare il legislatore su anacronistiche proposte di coscrizione. Vale invece la pena di rendere il servizio civile un’opportunità aperta a tutti coloro che scelgono di farlo, investendo le risorse necessarie affinchè nessuno ne sia escluso, lasciando la libertà ai giovani di fare le proprie scelte e, in ultimo, evitando che si trovino nuovamente imbrigliati in quell’ostacolo, tra loro ed il mondo del lavoro, che ha perseguitato per anni i giovani italiani: l’essere o meno “milite esente”.

La riforma del servizio civile potrà rappresentare un’opportunità per i l nostro Paese di favorire la partecipazione dei giovani e di accrescerne l’occupabilità, ma anche un rischio per le future generazioni se sarà l’ennesima occasione di trasferire sui figli l’ansia educativa dei padri.