Riforma Terzo Settore: Intervista al Presidente della Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile

di Katia Tulipano

ServizioCivileMagazine raccoglie in questa intervista le impressioni di Licio Palazzini, presidente della CNESC, sulla bozza di legge quadro sul Terzo Settore. (Katia Tulipano)

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Quali le Sue impressioni su questa proposta di Riforma?
Avere sul sito di Palazzo Chigi un testo che attribuisce questa rilevanza al Terzo Settore e alle varie sue diverse componenti è un fatto inusuale: sarebbe un errore non dargli l’importanza che deve avere.
All’interno di queste linee guida c’è poi una rilevanza per il servizio civile decisamente  anomala dal punto di vista delle istituzioni. Per chi come noi da anni chiede che il Servizio Civile venga riconosciuto ed accasato dentro lo Stato italiano, trovarlo sul sito di Palazzo Chigi da soddisfazione! 

Servizio civile universale. Lei ha dichiarato che gli enti, oggi, non sarebbero pronti ad attuare la proposta. Cosa intende?
Io vorrei che il Servizio Civile durasse indefinitamente, non fosse un bagliore di 100.000 persone per un paio di anni e poi crolli tutto. Vanno costruite allora bene le fondamenta. Lo Stato italiano ha investito fino al 2008, ma da allora ha quasi sostanzialmente chiuso i rubinetti. Ciò ha comportato un impoverimento anche di risorse umane all’interno delle organizzazioni.
Se vogliamo che tutti i giovani, come è un loro diritto, facciano un’ottima esperienza di servizio civile, che i cittadini ricevano i benefici dalle attività di servizio civile e lo Stato ne tragga la coesione sociale e la pace che si aspetta, servono organizzazioni temprate e motivate e per far questo ci vuole un po’ di tempo, ma soprattutto una precisa scelta da parte delle istituzioni che fino ad oggi non c’è stata. Se il Presidente del Consiglio dice che dal 1 gennaio 2016 vi saranno i presupposti per impegnare 100.000 giovani cominceremo subito a lavorare, ma ci deve esser detto per metterci in condizioni di poterlo fare, perciò ho lanciato questa nota di cautela.

Quale la soluzione?
In primo luogo bisogna far si che già nel contingente Italia del 2015 ci siano 45.000 volontari, a partire dai progetti che dovremo depositare nelle prossime settimane. Questo sarebbe un segnale per le organizzazione di riprendere fiducia, di ritirare le fila con le persone che in questi anni si sono sentite anche tradite per l’investimento che avevano fatto. Il 2015 rappresenterebbe l’anno in cui le organizzazioni irrobustiscono e qualificano la loro esperienza.
In secondo luogo, dal punto di vista dell’Ufficio Nazionale e delle Regioni bisogna che vengano adottate delle misure di sostegno nel senso della legittimazione di quelle organizzazioni che investono sul servizio civile rispetto a quelle che utilizzano il servizio civile. Infine il messaggio parlamentare che le risorse finanziarie per il 2015, il Governo ed il Parlamento, le stanzino per metterci nelle possibilità di realizzare i primi due passaggi evidenziati.

Per collegare il mondo delle imprese a quello del servizio civile Lei suggerisce la creazione di una “Banca dati degli ex volontari”. 
Alludo ad una banca dati di territorio a dimensione comunale perché è a livello di istituzioni comunali che si conosce il sistema delle imprese, delle cooperative, del terzo settore che in questi anni si è reso capace di produrre occupazione. Se ci sono tutte queste informazioni disponibili perché non mettere a disposizione di questi soggetti un’informazione in più? Ossia il profilo da un punto di vista delle esperienze fatte e delle capacità acquisite dei giovani che su quel territorio hanno fatto servizio civile, qualunque sia l’organizzazione che li abbia impegnati.
Secondo me sarebbe un volano a costo zero che potrebbe favorire quella che a livello europeo viene definita occupabilità. Tutto questo sarebbe poi ulteriormente ingigantito se nel nostro paese potessimo avere un repertorio nazionale delle professioni e delle competenze in modo tale che la dimensione locale possa fondersi con quella nazionale.

Cosa ne pensa della possibilità che venga chiesto un cofinanziamento degli enti per reperire i fondi necessari a mettere in piedi il servizio civile universale?
Quando si parla di 600 milioni di euro, con riferimento ai fondi necessari per realizzare il servizio civile universale, si parla esclusivamente di finanza pubblica perché a questi vanno sommati quasi altrettanti milioni di risorse che le organizzazioni investono direttamente attraverso il tempo lavoro delle proprie risorse umane, attraverso le strutture che mettono a disposizione, attraverso la formazione generale e specifica, il monitoraggio, la selezione. Quindi l’investimento globale della società italiana è molto più consistente. In questo quadro io continuo a pensare che l’investimento debba essere chiesto a tutte le organizzazioni. Oggi non è così.
Inoltre c’è un punto cardine su cui come CNESC non siamo disponibili a trattare: l’assegno mensile dei giovani è di competenza del finanziamento pubblico. Non possono esserci dei finanziamenti privati o delle stesse organizzazioni perché in quel modo non sarebbe più servizio civile, ma una forma di sostegno diretto all’occupazione giovanile oppure di pagamento di proprie figure professionali che nulla a che vedere con il servizio civile istituzione di natura pubblica.