Cautela e responsabilità: le parole chiave per la ripartenza degli enti no profit

di Redazione

Dopo mesi di lockdown, il 18 maggio il Paese è entrato nel vivo della fase 2. Spazio ad aperture più decisive, ma resta alta la priorità di ridurre i contagi.

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Il decreto legge n.33 del 16 maggio 2020 ha sancito l’ingresso a pieno regime nella “fase 2” dell’emergenza Covid-19 (o Coronavirus), e le sue disposizioni sono state completate ed attuate dal nuovo Dpcm 17 maggio 2020, con il quale vengono in sostanza superate le disposizioni del precedente Dpcm 26 aprile 2020.

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella conferenza stampa del 16 maggio 2020, sulla base degli evidenti miglioramenti nei dati sui contagi, ha affermato che le nuove misure permettono all’Italia di ricominciare ma ha ribadito ancora una volta che la prudenza e il senso di responsabilità sono comunque necessari da parte di tutti in questa fase, dato che il virus non è ancora stato sconfitto. Proviamo ad evidenziare i cambiamenti più evidenti rispetto alle scorse settimane e a formulare alcune considerazioni in merito alla situazione degli enti non profit e alle attività che questi svolgono.

Il nuovo quadro normativo

Il Decreto legge n. 33 del 2020 delinea il quadro normativo nazionale all’interno del quale, dal 18 maggio e fino al 31 luglio 2020, potranno essere disciplinati, con appositi decreti od ordinanze (statali, regionali o comunali), gli spostamenti delle persone fisiche e le modalità di svolgimento delle attività economiche, produttive e sociali. Con il Dpcm 17 maggio 2020 sono state invece dettate ulteriori e più specifiche prescrizioni, efficaci fino al 14 giugno 2020, relative a numerosi ambiti di applicazione. Il Ministero dell’Interno, con la Circolare del 19 maggio 2020, ha analizzato le misure disposte dai due provvedimenti menzionati, dando indicazioni ai prefetti per la rimodulazione dei controlli anti Covid-19.

La mobilità individuale

Il decreto legge n.33 del 2020 ha anzitutto posto fine alle misure limitative della libertà di circolazione all’interno delle singole Regioni: da lunedì 18 maggio ci si può quindi muovere nel territorio regionale senza bisogno di motivare lo spostamento. Viene di conseguenza meno l’obbligo di certificare lo spostamento su apposito modulo. Le misure limitative potranno essere reintrodotte sulla base degli articoli 2 e 3 del decreto legge n.19 del 25 marzo 2020, ma solo in relazione a specifiche aree del territorio nazionale interessate da un aggravamento della situazione epidemiologica. Fra Regioni diverse ci si potrà invece spostare solo per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute, e sarà in ogni caso consentito fare rientro al proprio domicilio, abitazione o residenza: si dovrà dichiarare ciò sul nuovo modulo di autocertificazione, emanato nei giorni scorsi dal Ministero dell’Interno. Tale limitazione si applicherà fino al prossimo 2 giugno compreso. Dal 3 giugno gli spostamenti fra le Regioni potranno essere limitati in base all’art.2 del Decreto legge n.19 del 25 marzo 2020 e solo con riferimento a specifiche aree del territorio nazionale che presentano un determinato rischio epidemiologico (cosiddette “zone rosse”).

Il divieto di assembramento e l’obbligo di mantenere la distanza sociale

La libertà di circolazione (seppur per ora all’interno della stessa Regione) rappresenta senza dubbio una fondamentale novità di questa fase, che la differenzia non solo ovviamente dalla fase 1 ma anche dalle 2 settimane iniziali (dal 4 al 17 maggio) della “fase 2”. Rimangono però le seguenti limitazioni generali, che riguardano tutte le attività:

- il divieto di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico;

- il mantenimento della distanza di sicurezza interpersonale minima di un metro (e che poi può aumentare in relazione al tipo di attività che viene svolta) e l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale (mascherine) dove ciò non sia possibile.

Si può definire assembramento la situazione in cui, in relazione alla dimensione e alle caratteristiche degli spazi (aperti o chiusi), non vi siano condizionamenti tali da poter assicurare il distanziamento tra gli individui.

Le attività che possono ripartire e le condizioni per farlo

Non vi è più la tabella con i codici delle attività (i codici Ateco) che possono riaprire, e quindi ad oggi non vi sono delle attività di per sé sospese, sempre che esse siano idonee a svolgersi senza creare assembramenti e nel rispetto della distanza interpersonale. La condizione che il legislatore individua per far ripartire le attività economiche, produttive e sociali è però che esse rispettino i protocolli o le linee guida disposti per prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi. Tali protocolli sono adottati dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome o con apposite ordinanze dalle Regioni, nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali o provinciali, trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale.

Fra tali documenti, fondamentali sono le Linee guida per la riapertura delle attività economiche e produttive della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che sono state recepite dal DPCM 17 maggio 2020 all’allegato 17, e successivamente aggiornate fino alla versione ultima che ad oggi è quella dello scorso 25 maggio. L’obiettivo delle Linee guida è fornire un quadro sintetico delle misure di carattere generale per permettere la ripresa delle attività in maniera compatibile con la salute e sicurezza dei lavoratori. Esse dovranno essere auspicabilmente integrate da linee guida regionali o provinciali e si riferiscono a diversi ambiti di attività, fra i quali vi sono anche alcune attività che possono riguardare gli enti non profit (ad esempio i circoli culturali e ricreativi).

Al fine di garantire la salute e la sicurezza delle persone coinvolte nelle attività, i principi contenuti nei protocolli di settore devono armonizzarsi e tener conto di altre disposizioni normative, fra le quali importanza centrale riveste il protocollo contenuto all’allegato 12 del Dpcm 17 maggio 2020, che detta misure per contrastare e contenere la diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro, e che è stato sottoscritto lo scorso 24 aprile fra il Governo e le parti sociali. Il mancato rispetto dei protocolli o delle linee guida regionali o nazionali comporta la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di tutela e sicurezza per le persone coinvolte.

Le attività degli enti non profit

Le nuove disposizioni non hanno purtroppo dedicato alcuna disposizione specifica agli enti non profit, la maggior parte dei quali si avvale in tutto o in parte di volontari. Circa le attività, non essendoci più i codici Ateco, anche quelle degli enti non profit potrebbero ripartire, sempre che esse siano anzitutto idonee a svolgersi rispettando le due condizioni fondamentali del divieto di assembramento e del rispetto della distanza interpersonale. Inoltre, occorre sempre considerare che il Dpcm 17 maggio 2020 e i protocolli allegati ad esso raccomandano fortemente ancora l’utilizzo del lavoro agile e a distanza, laddove esso sia possibile.

Il principio cardine per la riapertura, evidenziato al paragrafo precedente, è quello di garantire adeguati livelli di tutela e protezione della salute degli operatori (dipendenti e volontari) e in generale di tutte le persone coinvolte nell’attività: qualora ciò non sia possibile, l’attività deve rimanere sospesa. Al fine di garantire la sicurezza e la salute di tutte le persone coinvolte, l’ente dovrà rispettare quanto disposto dai protocolli nazionali e regionali (in particolare quello contenuto all’allegato 12 del DPCM, poc’anzi richiamato), mettendo in atto tutte le misure e gli adempimenti necessari richiesti in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro.

L’impostazione corretta è quindi quella di costruire un percorso di tutela per tutte le persone coinvolte, adottando ogni misura che consenta di minimizzare il più possibile il rischio di contagio, e tenendo conto delle responsabilità a cui sono soggetti (anche) coloro che amministrano un ente non profit.

Le singole attività degli enti

Non essendovi indicazioni specifiche per gli enti non profit in sé, occorrerà fare riferimento alle attività che essi svolgono, e a come queste sono regolate a livello nazionale (nel DPCM del 17 maggio 2020) e regionale: si ricorda infatti che le Regioni e le Province autonome possono, sulla base delle loro competenze, disporre ulteriori misure più o meno restrittive di quelle nazionali, in relazione al rischio epidemiologico presente sul loro territorio. Di seguito si propone una breve panoramica di alcuni ambiti di attività che coinvolgono gli enti.

I servizi sociali e la disabilità

Continuano a poter essere svolte le attività degli enti sia con dipendenti che con volontari, nell’ambito dei servizi sociali per soddisfare esigenze primarie di soggetti fragili e in condizione di bisogno (ad esempio anziani, disabili, persone senza fissa dimora), individuate nelle Faq governative e nella Circolare del Ministero del Lavoro n. 1 del 27 marzo 2020. Si rinvia alla lettura di “Servizi sociali e volontariato: il punto dopo gli ultimi interventi normativi”. Si ribadisce anche qui la necessità per gli enti che svolgono tali attività di adottare tutte le misure necessarie a garantire la salute e la sicurezza dei volontari e di tutte le persone coinvolte.

All’art.9 del Dpcm 17 maggio 2020 è confermata la riapertura dei centri diurni rivolti a persone con disabilità, la quale viene però subordinata all’emanazione di piani territoriali adottati dalle Regioni e al rispetto delle disposizioni per la prevenzione del contagio e la tutela della salute di utenti e operatori. Gli accompagnatori o gli operatori di assistenza (quindi anche volontari) delle persone con disabilità di cui all’art.9, c.2 del Dpcm, possono ridurre la distanza interpersonale al di sotto del metro previsto dalla legge, fermo restando l’utilizzo degli eventuali dispositivi di protezione individuale (ad esempio le mascherine) previsti.

Il volontariato “religioso” e nei centri estivi

Il Dpcm 17 maggio 2020, ed in particolare alcuni degli allegati ad esso, menzionano espressamente il volontariato. Lo fanno anzitutto i protocolli che lo Stato ha concluso con le diverse confessioni religiose (allegati da 1 a 7 del Dpcm), in cui si prevede che l’accesso al luogo di culto rimane contingentato e può essere regolato da volontari che controllano l’accesso e l’uscita dei fedeli, vigilando sul numero massimo di presenze consentite. Si prevede espressamente che i volontari debbano indossare adeguati dispositivi di protezione individuale, oltre che guanti monouso ed un evidente segno di riconoscimento.

Altro ambito fondamentale in cui viene richiamato espressamente il volontariato è quello che riguarda le attività ricreative per bambini e ragazzi fino ai 17 anni, le cui linee guida sono contenute nell’allegato 8 al Dpcm 17 maggio 2020 e sono state nei giorni scorsi anche pubblicate sul sito del Dipartimento per le politiche della famiglia. Esse riguardano in particolare le attività organizzate per bambini e ragazzi fra i 3 e i 17 anni all’interno di parchi, giardini o luoghi similari (realizzabili dal 18 maggio 2020 e per tutto il periodo estivo), e le attività realizzate all’interno dei centri estivi sempre per bambini dai 3 ai 17 anni (realizzabili a partire dal 15 giugno 2020 e per tutto il periodo estivo).

Le linee guida stabiliscono che i progetti possono essere realizzati anche da “enti del Terzo settore”, avvalendosi di personale professionale o volontario appositamente formato sui temi della prevenzione e della sicurezza in relazione al Covid-19. Il gestore dell’attività deve elaborare uno specifico progetto che presenti e tenga conto di tutti gli aspetti messi in luce dalle linee guida e che sono volti a ridurre al minimo il rischio di contagio, garantendo adeguate misure di sicurezza e di tutela della salute per le persone coinvolte. Il progetto in questione dovrà comunque essere preventivamente approvato dal Comune nel cui territorio si svolge l’attività, oltre che dalle competenti autorità sanitarie locali. Le linee guida sottolineano quindi la necessità di formare in modo adeguato i volontari sul tema della sicurezza in relazione al Covid-19.

Le attività sportive

Il Dpcm 17 maggio 2020 ribadisce la sospensione degli eventi e delle competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati. L’attività sportiva di base e l’attività motoria in generale svolte presso palestre, piscine, centri e circoli sportivi, pubblici e privati, può riprendere dal 25 maggio 2020 nel rispetto delle norme di distanziamento sociale e senza alcun assembramento. Le Regioni e le Province autonome possono comunque posticipare la ripartenza di tali attività. Al fine di riprendere l’attività sportiva, dovranno però essere emanate linee guida a cura dell’Ufficio per lo Sport della Presidenza del Consiglio, per l’attuazione delle quali gli enti sportivi (Federazioni, Enti di promozione sportiva, associazioni e società sportive) adottano appositi protocolli in  osservanza della normativa in materia di  previdenza  e  sicurezza  sociale, al fine di tutelare  la salute degli atleti, dei gestori degli impianti  e  di  tutti  coloro che, a qualunque titolo,  frequentano  i  siti  in  cui  si  svolgono l’attività sportiva e l’attività motoria.

Le attività che rimangono sospese

Dal quadro normativo nazionale rimangono ancora sospese le attività di volontariato per le quali non è possibile rispettare il divieto di assembramento e la garanzia della distanza interpersonale di sicurezza, fra cui rientrano:

- le manifestazioni e gli eventi pubblici all’aperto, che prevedono il movimento delle persone (sagre, concerti, ecc.), essendo consentito solo lo svolgimento di quelle in forma “statica”, a condizione che siano osservate le distanze interpersonali e le altre misure di contenimento;

- i centri culturali e sociali (ma si vedano le ordinanze regionali, quali ad esempio, il Protocollo attività centri sociali e ricreativi dell’Emilia Romagna);

- i servizi educativi per l’infanzia (segnalando anche qui che, in preparazione della apertura, sono uscite le Linee guida per i centri estivi e le attività ludico-ricreative).

- Gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto possono riprendere dal 15 giugno ma con posti a sedere contingentati, preassegnati e distanziati, e secondo le linee guida di cui all’allegato 9 del Dpcm 17 maggio 2020; 

I musei e gli altri istituti e luoghi della cultura possono riaprire, a condizione che garantiscano modalità di ingresso contingentato tali da evitare assembramenti e permettere il distanziamento, e comunque tenendo conto dei protocolli nazionali o regionali.

Si ribadisce la necessità per gli enti non profit di controllare quanto dispongono le eventuali ordinanze regionali o provinciali, che potrebbero come detto discostarsi dal quadro nazionale. Il Dpcm 17 maggio 2020 conferma inoltre la raccomandazione a tutte le persone anziane (over 65), oppure sofferenti di patologie croniche o immunodepresse, di evitare di uscire dalla propria abitazione fuori dai casi di stretta necessità. Gli enti non profit che coinvolgono tali individui come volontari o come utenti dovranno valutare l’eventuale riapertura con ancora maggiore attenzione, prudenza e senso di responsabilità.

Le riunioni degli organi sociali

Il Decreto legge n.33 del 2020, all’art.1, c.10, ammette la possibilità di svolgere le riunioni, garantendo la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro. Ciò è confermato dal Dpcm 17 maggio 2020, che vieta gli eventuali assembramenti di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico, ma non in luoghi privati.Sembra quindi ammessa la riunione in presenza degli organi sociali (assemblea, consiglio direttivo, altri organi), sempre però a condizione che sia possibile garantire il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro e in generale adottando tutte le misure ai fini di tutelare la sicurezza e la salute degli intervenuti.

Anche qui è comunque necessario che l’ente verifichi anzitutto che non vi siano disposizioni regionali o provinciali che mantengano sul territorio il divieto di riunione. È soprattutto indispensabile che coloro che hanno la responsabilità di convocare gli organi sociali valutino con la massima attenzione e buon senso l’opportunità di riunire gli organi sociali in questo periodo ancora molto delicato, considerando che è comunque utilizzabile lo strumento della videoconferenza e che il Decreto “Cura Italia” ha spostato il termine per l’approvazione del bilancio al 31 ottobre 2020. Per un approfondimento più completo, si rinvia alla lettura di “Riunioni non profit: cosa cambia dopo la conversione del Cura Italia”. Sembra quindi ancora legittimo (e consigliato) posticipare la convocazione degli organi sociali (in particolare dell’assemblea, solitamente più numerosa), al fine di tutelare il fondamentale diritto alla salute di coloro che sono chiamati ad intervenire.

 

(Fonte articolo: Cantiere Terzo Settore - fonte foto: ItaliaOggi)