Islam e i social network

di Anna Laudati
Dopo il Pakistan anche il Bangladesh passa al blocco di Facebook (di Flavia Miccio)

facebook_potpourri_web--400x300.jpgÈ stato revocato il 31 maggio il blocco su Facebook deciso da circa una settimana fa in Pakistan, dopo che i legali dell’Islamic Lawyer’s Movement avevano inviato una petizione al tribunale, bollando come “blasfema” una pagina del social network, sulla quale erano state pubblicate caricature di Maometto. Nello stesso giorno il Bangladesh blocca l’accesso al social network per lo stesso motivo: l’upload di immagini ritenute sacrileghe. Sono ancora una volta le misure drastiche a dimostrare come ogni tentativo di regolamentazione della rete rischi di sfociare in atti autoritari e lesivi della libertà di espressione.

Queste vicende hanno avuto una vasta eco in tutti i paesi islamici e non solo e la notizia del blocco di Facebook è apparsa sui siti internet dei media più importanti del Paese. Il Daily Times riferisce che l’ala femminile della Jamaat-e-Islami (JI) e studenti di diversi istituti hanno indetto manifestazioni di protesta. La stessa pagina Facebook dedicata al concorso per vignette su Maometto, era stata creata, così come spiegano gli ideatori, in risposta alla protesta scatenata dai musulmani contro gli autori del celebre cartoon satirico made in Usa, “South Park”, accusati di aver raffigurato in modo inopportuno l’immagine di Maometto. In ogni caso le  leggi sulla blasfemia, applicate nei diversi ,Stati creano dissensi: sono infatti l’arma più potente, uno degli  strumenti di repressione religiosa più diffusi nella cultura islamica.

 

Di recente Google ha reso noto che la censura online non si limita a Cina, Birmania, Iran e Cuba. Ma è un “affare” che coinvolge ben 25 paesi nel mondo. Inoltre la scure della censura non viene calata soltanto sulla ricerca online (per bloccare ricerche di informazioni e news sui motori di ricerche), ma colpisce anche: Google Docs, la piattaforma della blogosfera Blogger e il sito di video condivisione YouTube. Questi servizi dell’ecosistema Google vengono censurati e bloccati in un quarto dei 100 paesi in cui Google opera. Anche l’Italia rientra in questa poco invidiabile classifica dei paesi censori, posizionandosi al decimo posto.