Giovani e assassini: tra impunità, rieducazione e ferocia

di Monica Scotti

Recenti studi dimostrano che sono in aumento i crimini commessi da ragazzi, spesso minorenni, e che nella maggior parte dei casi si tratta di azioni intenzionali, studiate con freddezza e portate a termine con accanimento spietato. (Monica Scotti)

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Susy Cassini, 41 anni, e il figlio 11enne Gianluca, vengono brutalmente accoltellati nella loro casa di Novi Ligure il 21 febbraio del 2001, la mente e il braccio della spedizione mortale sono Erika de Nardo, figlia e sorella delle vittime allora appena 16enne, e il fidanzato Omar, di poco più grande.

Sarah Scazzi, 15 anni, è morta il 26 agosto 2010 ad Avetrana (Taranto), a strangolarla, per poi gettare il cadavere violato in un pozzo, sarebbero stati lo zio e la cugina 22enne, Sabrina Misseri.

Lorena Cultraro, 14 anni, di Niscemi (Caltanissetta), viene stuprata dal branco e poi soffocata con un cavo tv, anche il suo corpo straziato finisce in fondo a un pozzo; la mano assassina è quella di tre minorenni (di 15, 16 e 17 anni) che volevano impedirle di dire in giro che era rimasta incinta di uno di loro.

Maricica Hahaianu, infermiera romena di 32 anni; l’8 ottobre scorso Alessio Burtone, romano di 20 anni, l’ha uccisa colpendola con un pugno al volto per poi lasciarla ad agonizzare nel piazzale della stazione Anagnina, la ragione? Un litigio per futili motivi alla biglietteria.

La lista dei crimini efferati commessi da giovani negli ultimi anni è lunghissima e inquietante. Sembra non esserci limite all’orrore e che niente possa fermare la piccola mano del boia quando scatta la violenza, non basta il vincolo di sangue che esiste fra madre e figlio, fra cugini, fra fratelli e sorelle, né bastano i sentimenti suscitati dai primi amori adolescenziali, fatti di scoperte e tremori, non basta neppure il rispetto che ogni persona dovrebbe avere per gli altri, né l’insegnamento non scritto che recita “non picchiare le donne e a ama il prossimo tuo come te stesso”.

Il casellario giudiziale trabocca di storie di “piccoli mostri”. I media, ormai, non hanno che da scegliere fra decine di foto di assassini dal volto acerbo per riempire programmi tv e pagine di giornali. L’identikit del criminale in erba non è quello che ci si aspetterebbe: nella maggior parte dei casi, infatti, non si tratta di ragazzi sbandati, cresciuti in famiglie disagiate, che non hanno avuto a disposizione modelli di riferimento positivi che li tenessero lontani dalla “cattiva strada”; al contrario, gli autori di reati violenti sono spesso persone “normali”, cresciute in un ambiente dignitoso, se non borghese, con alle spalle una buona carriera scolastica, amici, interessi, genitori presenti. Vicini e conoscenti si affrettano a definirli “bravi ragazzi” e c’è chi si dispiace tremendamente per loro una volta varcata la soglia del carcere, soglia che in molti si illudono di poter aggirare.

“Non potete farci niente: siamo minorenni” è, infatti, la frase più comunemente pronunciata dai minori subito dopo l'arresto secondo quanto emerge da un recente studio dei verbali di interrogatorio.

Per quanto l’impunità totale non sia che un’illusione, la natura dei percorsi giudiziari, la reclusione e la rieducazione quando hanno per oggetto imputati giovanissimi dividono l’opinione pubblica, suscitando polemiche fra chi si sente più incline a “perdonare” e chi chiede punizioni esemplari proporzionali alla gravità del reato commesso.

“Sono ragazzini” si sente ripetere e commentare in tv e per le strade. Ragazzini capaci di uccidere che forse non hanno ben chiara da dimensione del reale. Gli assassini della piccola Lorena Cultraro non facevano che chiedere fra le lacrime di tornare a casa dopo aver confessato l’orrendo delitto; Alessio Burtone, spalleggiato da amici e parenti che al momento del suo arresto contestavano i carabinieri con slogan da stadio “Alessio libero! Alessio uno di noi!” (suscitando nell’interessato un bel sorriso), ha dichiarato di “essere pentito ed essere stato sfortunato”, mentre il suo avvocato punta il dito contro i medici che hanno tentato in vano di salvare la donna (ANSA); Sabrina Misseri continua dal carcere a proclamarsi innocente, anche se i sospetti su di lei aumentano e gli inquirenti si dicono convinti che abbia aiutato il padre a uccidere la cuginetta che le aveva confidato d’aver subito molestie dallo zio.

Se c’è una cosa che accomuna queste vicende terribili è l’impressione che i “carnefici” siano concentrati su loro stessi al punto da sentirsi “vittime” di chi uccidono: la colpa è di chi resta incinta dopo il sesso, di chi confessa un abuso, di chi chiede ai propri figli di rientrare a casa a un orario decente, dei medici che non hanno compiuto miracoli o della sfortuna (e se ad esempio Alessio Burtone è stato sfortunato a sferrare un pugno, c’è da chiedersi quanto sfortunata sia stata Maricica Hahaianu a trovarsi dall’altro lato del pugno che l’ha uccisa!).

In un mondo che non tiene in giusta considerazione valori come il rispetto del prossimo e la vita, legittimando di fatto il sopruso del più forte sul più debole, non stupisce che i giovani si abbandonino alla ferocia.

(foto: Arancia Meccanica, dal romanzo di Anthony Burgess)