BABILONIA TEATRI, loro ce l'hanno fatta e senza nessun finanziamento

di Anna Laudati

Girerà tutta Italia la compagnia rivelazione dell’anno. Fra gennaio e aprile in tournée a Scandicci, Firenze, Venezia, Udine, Verona, Mantova, Bari, Brescia, Pavia, Bologna, Salerno, Scampia-Napoli e Genova (di Paola Pepe)

babilonia-teatri.jpgBabilonia Teatri è sicuramente una delle giovani realtà più interessanti del panorama teatrale italiano. Osannato dai più noti critici contemporanei, il gruppo veronese ha conquistato di diritto la vetta fra le compagnie emergenti per le straordinarie capacità di raccontare, tra satira, ironia e battute sarcastiche, vizi e virtù del nostro tempo. Fare teatro, oggi, rappresenta un campo minato, ricco di difficoltà e rinunce.

Capire e analizzare il loro modo di farlo, significa confrontarsi con una parte della generazione di venticinque-trentenni che sta emergendo negli ultimi anni, anche se con le grandi fatiche che contraddistinguono il nostro Paese e il teatro in genere, soprattutto nel campo della ricerca e della sperimentazione. Enrico Castellani, Valeria Raimondi e Ilaria Dalle Donne sono Babilonia Teatri. Un esempio per tutti i ragazzi che si accostano al mondo dello spettacolo con fatica e determinazione. Provenienti da percorsi formativi diversi, nascono a Verona come compagnia teatrale nel 2005, attraverso un progetto associazionistico: dopo il primo tentativo fallito, uno spettacolo pacifista sulla guerra in Iraq dal titolo Cabaret Babilonia al quale sono molto legati, esordiscono con Panopticon Frankenstein, frutto dei laboratori teatrali in carcere. Ma il loro lavoro più ambizioso è sicuramente Made in Italy, vincitore del Premio Scenario 2007, uno dei premi più importanti destinato alle giovani compagnie con l’obiettivo di valorizzare nuove idee e progetti di teatro, percorso quasi obbligato per tutti quelli che vogliono imporsi all’attenzione nazionale.

I loro lavori prescindono dai generi e rispettano dei codici linguistici ed espressivi del tutto personali. Usano la musica non a commento dell'azione, ma come elemento caratterizzante. Risultato un teatro che la compagnia stessa definisce pop-rock-punk. In quest’ottica, gli spettacoli acquistano la dimensione vera e propria dello show, intesa, però, come riproposizione del tutto nuova di alcuni modelli di spettacolo già codificati. I loro lavori sono completamente liberi dalla necessità di dare una logica narrativa così da sperimentare nuove dialettiche e nuovi sensi. Il linguaggio televisivo, ad esempio, viene estrapolato dal contesto quotidiano ed inserito all'interno di nuove sequenze; il significato di alcuni eventi viene spostato e ricollocato all'interno della drammaturgia, in una sorta di montaggio e assemblaggio che lavora per accostamento di scene. Il linguaggio è veloce, giovane, sincopato e non interpreta mai un copione scritto in astratto ma riporta pezzi di frasi e discorsi sentiti per strada. Il testo supporta una recitazione che si esaurisce nel dire, a volte ripetuto e ossessivo, come quello martellante della pubblicità.

“Parlare di noi -  affermano con convinzione - ci ha permesso di toccare della materia viva, ci ha costretti a dire e a mostrare parole e atteggiamenti che ci appartengono in modo profondo e radicato. Scegliendo di esporli, abbiamo scelto di metterci a nudo. Abbiamo cercato un modo per raccontare le nostre piccole verità”. Il loro teatro non è dunque l'universo tradizionale dello spettacolo. E la parola teatro è un trucco linguistico, in cui traspare la necessità di una profonda ricerca personale, civile e morale.