Vivere da Giovane Migrante: Il corpo in Italia e il cuore in Africa!

di Anna Laudati

Jean trentenne originario del Camerun da molti anni abita e lavora a Castel Volturno (CE), dove coordina la comunità Africana e vive da cittadino attivo il territorio (di Giuseppina Ascione)

emigrato.jpgAnni? Ho gli anni di Cristo. Li compio fra meno di due mesi. Da dove vieni? Mi piace definirmi castellano acquisito in quanto vivo a Castel Volturno da otto anni. Ma in realtà, la terra che mi diede i natali è un piccolo paese di 18 mila abitanti situato nel Golfo di Guinea, nel cuore dell’Africa Centrale. Una terra che gli esploratori portoghesi nel lontano medioevo avevano identificato come il paese dove scorre il Rio Dos Camaroes- il Fiume dei Gamberi. Quel Camaroes, che indicava la generosità naturale del fiume che si chiama il realtà Wourì, è stato poi assunto come il nome del mio paese: il Camerun.

 

Di cosa ti occupavi nel tuo Paese d'origine? Nella mia terra natia, ho trascorso la vita a scuola. Poi sono dovuto entrare nella scuola della vita e purtroppo sono dovuto emigrare. Così sono finito col fare l’immigrato in Italia.

Hai lasciato lì la famiglia? Sono sempre stato circondato dall’affetto di numerosi parenti: genitori, zii, zie, cugine, cugini. Sono tutti lì. Ogni tanto faccio ritorno in patria. Ma la mia vita ormai è qui in Italia.

Come sei stato accolto in Italia? Non mi aspettavo il tappeto rosso al mio arrivo perché sapevo, attraverso i giornali, che la vita degli immigrati non fosse rosea. Mi sono semplicemente dato da fare. Sono partito da un semplice posto letto al Centro Fernandes di Castel Volturno. Poi mi sono adoperato per far girare la fortuna dalla mia parte. E’ stato molto impegnativo, e lo è tuttora, ma sto lavorano per costruire le condizioni per una vita normale in questo paese. Ho conosciuto molte persone affabili con alle quali sono molto legato, sin dal mio arrivo. 

Di cosa ti occupi qui? Faccio il mediatore culturale. Collaboro con vari enti privati che s’interessano del vissuto degli immigrati, dalla Caritas al Sindacato, dall’associazione di volontariato come la onlus Jerry Essan Masso, alla scuola. Mi definisco un po’ come la stampella dell’immigrato che arriva e vuol compiere dei passi nella comunità di accoglienza. Oltre a questo, sono anche il giornalista-pubblicista. Scrivo su vari giornali di respiro nazionale come Repubblica- Metropolsi, di corporatura regionale come ArpaCampiAmbiente, su scala provinciale con La Gazzetta di Caserta e locale con il mensile Inform@re del Litorale Domizio, con sede a Castel Volturno. Tra l’altro, devo confessare che trovare una redazione che mi ospitasse è stato particolarmente difficile, un vero travaglio. Non ho mollato finché non  l’ho trovato. Si pensa sempre che uno straniero come me non sia in grado di assolvere determinate mansioni. Era una sfida e una scommessa con me stesso, quella di dimostrare che a volte i cliché e i preconcetti non trovano sempre riscontro nella realtà dei fatti. Ecco perché non sarò mai abbastanza grato ai direttori che mi hanno ospitato e mi ospitano tuttora nelle loro redazioni. Oltre a tutto ciò, cerco d’impegnarmi nella vita civile del territorio.

Come rappresentante della Comunità Africana, credi che la vostra sia una comunità unita? La disomogeneità dell’Africa si riverbera anche fuori dal Continente, per cui molti sono propensi a rinchiudersi solo nell’ambito della propria comunità di appartenenza. Ma io ho cercato di andare oltre questi schemi anche perché la comunità del mio paese è piuttosto magra. Ho rapporti amichevoli con persone provenienti da ogni paese, anche al di fuori dell’Africa. Scherzando, mi definisco spesso come un uomo planetario.

Conosci il problema della camorra in Campania? Chiunque vive in Campania ne ha sentito parlare. Leggo i giornali, ho letto Gomorra di Saviano che mi ha dato uno spaccato abbastanza particolareggiato di quella realtà.

Cosa pensi degli ultimi avvenimenti di Castel Volturno ai danni delle comunità di immigrati? Le dinamiche della strage in sé, verranno appurate dagli inquirenti. Di primo acchito, ho avuto la sensazione che ci fossero troppe vittime innocenti in quella vicenda. Ora la mia inquietudine è sul dopo perché noto che c’è sempre più insofferenza nei confronti della numerosissima comunità immigrata di Castel Volturno. Detta insofferenza sta mutando pian piano in un sentimento di esasperazione da parte della popolazione locale che non si riconosce nel ritratto che è stato dipinto dai giornalisti che hanno invaso il territorio dopo l’eccidio. Bisogna  lavorare con passione per ricucire lo strappo.

Alla luce di tali fatti, pensi che l'Italia sia un Paese razzista? In questi giorni c’è stata molta confusione su Castel Volturno e la sua gente. Credo che non possiamo essere eccessivamente ingenerosi con la terra che ci ha accolto. Castel Volturno e la sua gente non sono razzisti. Assolutamente no. Molti confondono il disagio, la mancanza di prospettive e il razzismo, quando si parla di Castel Volturno. Quanto al resto dell’Italia, credo che il sentimento d’insofferenza nei riguardi degli immigrati è dovuto alle difficoltà con le quali i cittadini devono quotidianamente fare i conti e che si chiamano depressione finanziaria e regressione economica. Gli inglesi chiamano questa propensione Transferred Aggression, lo sfogare su altri le proprie difficoltà. E’ ovvio che c’è chi attizza il fuoco a fini propagandistici per raccogliere consensi, ma in buona sostanza l’Italia non ha geni razzisti. Ma il pericolo c’è. E’ in agguato. Bisogna stare accorti. In ogni caso, non si devono confondere i soprusi con il razzismo. Poi,  dare del razzista a tutta l’Italia è ingeneroso, come dare del delinquente a tutti gli immigrati lo è. Ciò di cui abbiamo avuto sentore a da circoscrivere alla responsabilità individuale. Ebbene, qualora si verificassero troppi episodi di razzismo, penso sia pur sempre una somma di responsabilità individuali, mai collettive.

Hai intenzione di tornare nel tuo Paese? La nostalgia del mio paese natio ci sarà sempre.

Sai che cos'è il Servizio Civile? Nel mio paese si chiama Servizio Civico di Partecipazione allo Sviluppo. Al di là delle elaborazioni semantiche, penso sia il tentativo d’inculcare ai giovani il valore della solidarietà e dell’impegno a favore della comunità nel suo complesso. In questo momento, si formano dei cittadini che non siano portati a curare unicamente il proprio orticello.

Se si, cosa pensi della proposta di allargarlo anche ai giovani immigrati? Andrebbe fatto nel senso di ciò che auspico sempre: integrazione, inclusione, compartecipazione. In fondo, come diceva Churchill, siamo sulla stessa barca, una barca chiamata Italia, a prescindere dalle origini etniche, antropologiche e dalle stirpi.