Salvo Vitale: Antimafia ieri e oggi!

di Anna Laudati

Il racconto di chi ha lottato contro la mafia e continua a farlo e a sperare che ci sia un domani diverso (di Giuseppina Ascione)

l_url_salvo_vitale.jpgSalvo Vitale è amico e collaboratore di Peppino Impastato con cui ha condiviso la passione per la politica, l'amore per gli studi di filosofia e soprattutto l'impegno nella lotta contro la criminalità organizzata. Con Peppino e gli altri compagni, Salvo ha partecipato alla fondazione del circolo “Musica e Cultura” e alle attività di Radio Aut. Da quei microfoni, in un periodo non facile come il decennio tra gli anni 60 e 70, Salvo, Peppino e gli altri, sono riusciti ad accendere i riflettori sulla realtà mafiosa del territorio di Cinisi e sulle collusioni tra il potere politico e gli ambienti criminali.

La passione politica e la voglia di legalità di questo gruppo di giovani siciliani li ha portati a parlare senza remore di cosa accadeva ogni giorno nel loro paese, nelle loro terra, ad appena “cento passi” dalla propria abitazione. Ma da allora è veramente realmente cambiato qualcosa? 

Come percepisce il clima nella società contemporanea rispetto alla lotta alla mafia? Come sempre: c’è un clima di condiscendenza strisciante, spesso un’arcana paura nei confronti di chi si ritiene “absolutus”, cioè fuori dalle leggi umane e divine, padrone della vita e della morte degli abitanti del suo mandamento. In ogni caso il mafioso è sempre ritenuto qualcuno cui rivolgersi per ottenere un favore e che quindi non è consigliabile inimicarsi.

Dovendo fare un paragone rispetto ai tuoi tempi, cosa direbbe? Allora c’era più paura, o, in termini mafiosi, più “rispetto” per “Cosa nostra”. Oggi il silenzio è diradato e l’educazione antimafia è un momento con il quale si confrontano sempre più spesso le istituzioni scolastiche e le associazioni civili. C’è voluto, per arrivare a questo, tutta la ferocia di Totò Riina e la sua ostinazione a voler fare il braccio di ferro con una parte dello stato. Badalamenti prima e Provenzano dopo, hanno cercato invece di portare avanti una linea di pacifica convivenza con le istituzioni, con lo scopo di ottenere reciproci vantaggi. E’ mia impressione che, mentre prima il mafioso stava nell’ombra e lavorava in silenzio, adesso una componente di questo mondo è scesa direttamente in politica, per garantire senza intermediazione i propri affari. Per questo è facile incontrare tra i politici gente collusa, processata per concorso in associazione mafiosa, oppure per tangenti e affari sporchi di vario tipo. Diciamo pure che buona parte dei mafiosi in camicia e cravatta ha gettato la maschera ed è scesa direttamente in campo amplificando un sistema di corruzione e di legalizzazione dell’illegalità.

Quanto Peppino, secondo lei, è radicato nella memoria antimafia del paese? e quanta fatica e costato far si che ciò avvenisse? Cinisi era e rimane un paese complessivamente indifferente, sia alla mafia che all’antimafia: ciò che importa è avere una vita tranquilla e una rete di conoscenze nei punti giusti. La casa di Peppino è visitata annualmente da migliaia di persone, ma i “cinisara” preferiscono ignorarne l’esistenza. E tuttavia non si può non dare atto all’attuale sindaco, di avere intestato l’aula consiliare a Peppino. Così come bisogna considerare che l’eredità di Peppino, nel bene o nel male è rimasta in tutti coloro che lo hanno conosciuto e comincia ad aprire qualche breccia nelle nuove generazioni. Naturalmente ci lavoriamo da trentanni.

Che consigli puoi dare ai tanti giovani impegnati oggi nella lotta alle mafie? Non mi piace dar consigli, perché rischierei di fare il profeta. Il metodo di Peppino è sempre il migliore: incontrarsi, studiare l’ambiente che ci circonda,avere un progetto politico forte, sapere ribellarsi, inventarsi strumenti di denuncia e di comunicazione delle idee, uscire dalla propria solitudine e dagli effetti perversi del circuito dei mass-media che stritola ogni creatività.