Crimini d'amore

di Anna Laudati

In Italia ogni anno si suicida il 30% di coloro che commettono un femminicidio, mentre un altro 9,2% tenta di uccidersi senza però riuscirvi (di Veronica Centamore)

crimini.jpg"Prima uccide lei (Grazia 18 anni), poi fugge via e dopo una corsa in auto si scontra con un camion ma rimane illeso (Bruno 32 anni)  in preda a un raptus (forse consequenziale al fatto accaduto prima) si butta in mezzo alle altre auto in corsa. Muore, portando con se la motivazione che lo ha indotto a compiere questa doppia follia (28/04/09)” “Dopo una notte di interrogatorio è crollato. È stato il fidanzato, l'operaio romeno Farcas Iount, di 23 anni, a massacrare di botte e a uccidere martedì 28 aprile sera durante una lite per gelosia la sua connazionale Elena, di 24, badante attualmente disoccupata… l'operaio ha confessato di avere ucciso la fidanzata” (7/10/08).

Chi non ricorda la scena del film “Storia di una capinera” di Zeffirelli dove la protagonista, Maria che vuol farsi suora pur essendo innamorata di Nino, va da una consorella del convento, costretta a vivere in una cella perché pazza e diventata tale a causa di un amore, per chiederle: “Si può morire d’amore… si può impazzire d’amore?” Lei risponde urlando e piangendo disperatamente ma oggi basta vedere le cronache per capire che, purtroppo può accadere. Certo, si tratta di un amore malato, perverso, morboso ma sempre amore è. Uomini che ammazzano le donne perché le amano. Troppo belle, libere, orgogliose, amabili. Ma di che amore si tratta? L’amore fa sognare, volare, digiunare, “fa belli gli uomini, sagge le donne, l’amore fa cantare le allodole, dolce la pioggia d’autunno… credere e imparare”(come dice Fossati in un suo recente successo) e allora perché persino la letteratura è piena di delitti eccellenti dalla Desdemona di Shakespeare alla Nastasja dell’Idiota e altri ancora. Fino, alla cruda realtà dove la bellissima Antonella viene uccisa da Luca Delfino, fidanzato lasciato, e chissà, forse pure la povera Chiara Poggi di Garlasco è vittima di un amore perverso. E ancora, duplici omicidi: Loredana e il suo fidanzato Niccolò, trovati la mattina del 24 giugno coperti di sangue, nella stanza da letto.

Ai piedi del letto un coltello insanguinato e sul comodino due righe di spiegazione: «Speriamo di non avervi deluso, siamo stanchi, perdonateci. Addio, lasciateci insieme». Un doppio suicidio? (Per lei più nulla da fare, lui invece viene trasportato in fin di vita in ospedale per una profonda ferita alla gola), ma fin dalle prime indagini viene fuori un’altra possibile verità: Niccolò, geloso e ossessionato dall’idea di essere lasciato avrebbe ucciso, con oltre trenta coltellate Loredana, per poi mettere in scena il doppio suicidio, con tanto di ferite ai polsi e alla gola e il biglietto d’addio. Un caso che rientra nella duplice interpretazione dell’omicidio-suicidio elaborata dal criminologo Dawson. Da una parte ci sono i cosiddetti “suicidi per risentimento” (come nel caso di Niccolò) non premeditati una componente secondaria del comportamento dell’omicida, il cui vero obiettivo rimane invece l’uccisione della partner (o ex partner) per rabbia, punizione e gelosia. L’omicida decide di togliersi la vita (o tenta di farlo) soltanto in un secondo momento, quando si è reso conto delle drammatiche conseguenze del proprio gesto criminale. Dall’altra, invece, c’è una sorta di “suicidio esteso”, indotto dalle tendenze autodistruttive dell’uomo che ha premeditato di suicidarsi e uccide la propria partner e, in alcuni casi, anche i figli “per non lasciarli soli o non farli soffrire”. L’omicidio viene visto come atto “altruistico”. Assassini, non sconosciuti ma gli uomini più vicini a queste donne. Ebbene si, paradossalmente si tratta dell’altra metà della mela platonica, quella metà che dovrebbe completarla e invece si mostra marcia. Anche dal punto di vista delle indagini, i femminicidi presentano caratteristiche precise.

«La maggior parte degli omicidi cosiddetti passionali – spiega Eugenio Ferraro (scrittore)– avviene all’interno di un appartamento o di un’automobile che, in qualche modo, rappresenta una sorta di estensione dell’ambiente domestico. Spesso è la donna ad accettare un ultimo appuntamento. Contrariamente ai femminicidi commessi in strada, nei quali l’assassino è quasi sempre armato e ha già maturato l’idea di uccidere, in quelli compiuti in casa manca quasi sempre la premeditazione. Infatti la prima cosa che salta agli occhi, una volta giunti sulla scena del crimine, è che raramente l’assassino cerca di dissimulare la scena del crimine. Al contrario, ovunque ci sono i segni rabbiosi di una violenza omicida, esplosa quasi sempre al culmine dell’ennesima lite; un omicidio spesso annunciato da una lunga serie di maltrattamenti, di vera e propria persecuzione (oltre la metà dei casi di femminicidio è accompagnata e preceduta da episodi di stalking)». Quali sono gli elementi scatenanti? Molto spesso mariti e fidanzati, gelosi e possessivi, uccidono la propria partner incapaci di accettare l’idea che lei possa lasciarli e vivere senza di loro. Secondo l'Eurispes a spingere l'uomo ad uccidere è l'abbandono, vissuto come "insanabile ferita narcisistica", cui il maschio non è preparato. Ritenendosi l'anello forte della coppia, cui spettano tutte le decisioni importanti, l'uomo avverte come un'offesa insanabile il fatto d'essere lasciato.

Una vera e propria strage (secondo il Rapporto Eures 2007 sull’omicidio in Italia, sono state 103 le donne, tra i 16 e i 44 anni, uccise nell’ambito familiare, con una media di un delitto ogni 96 ore) quella che ha spinto alcuni criminologi a coniare il termine di femminicidio nelle relazioni intime (Intimate feminicide) Anna Costanza Baldry, psicologa e criminologa: “Indica tutti quei casi in cui la vittima dell’omicidio è una donna e la morte è direttamente riconducibile alla sua appartenenza al genere femminile, quando un uomo, cioè, uccide una donna in quanto donna» in quanto, soprattutto, non più sua. Movente di questi delitti quindi è il motivo passionale della gelosia e del senso di possesso nei confronti della donna presente nei cosiddetti “delitti d’onore” che hanno segnato per secoli la storia del nostro Paese (almeno fino al 1981, quando è stato definitivamente abrogato l’art. 587 del codice penale che prevedeva soltanto una pena da 3 a 7 anni per chi aveva ucciso moglie, figlia o sorella per cancellare “l’offesa recata all’onor suo o della famiglia” e molto “tollerato” soprattutto in quei contesti regionali, come la Sicilia, dove l’onore era qualcosa di inviolabile). Oggi il delitto d’onore si è trasmutato in passionale.

«La differenza tra i delitti d’onore di una volta e quelli passionali – spiega Anna Baldry – sta nel fatto che i primi venivano commessi, oltre che dal marito, dal padre, dal fratello della vittima per salvaguardare il presunto onore e lo status della famiglia all’interno della società, mentre nei secondi la “questione” è gestita direttamente dal partner, anche perché negli ultimi anni la famiglia tradizionale e numerosa ha perso via via influenza. In ogni caso il movente dell’assassinio è simile: essersi sentito tradito e umiliato, oppure disonorato per essere stato lasciato, per aver cioè perso il controllo su una donna vista come una proprietà». Nei casi di femminicidi, in cui l’omicida ha avuto una relazione intima con la vittima, l’autore del gesto arriva al suicidio. In Italia, ad esempio, ogni anno si suicida il 30% di coloro che commettono un femminicidio, mentre un altro 9,2% tenta di uccidersi senza però riuscirvi. Volendo stilare una sorta di classifica geografica degli omicidi in famiglia, il primo posto spetta al Nord: 26 su un totale di 55. 16 quelli al Sud, 13 al centro. Il primato, in negativo, dei delitti in famiglia spetta della Lombardia – come regione in cui è avvenuto il maggior numero di omicidi: 21 casi in tutto nei primi due quadrimestri del 2003. Seguono il Lazio (13) e l’Emilia Romagna (10). Forse il sud si è trasferito a nord?

Quando finisce un amore, crolla un’esistenza creata, sognata, desiderata e avuta. Ci si sente soli, traditi, abbandonati e in fondo è proprio così, soprattutto quando si è dalla parte di chi subisce la decisione. Capita a tutti, è capitato e forse ricapiterà ancora ma dietro a una fine c’è sempre la possibilità di una rinascita di un altro sé, magari anche più bello, sereno, comunque diverso, in fondo se qualcosa è finito evidentemente non andava così bene e la sua fine magari era l’augurio migliore da farsi. Costringere qualcuno ad amarci non è possibile ma soprattutto non è granchè e perché precludersi la possibilità di trovare dell’altro e magari di meglio?