Densa di contenuti l'audizione del Ministro Bondi per il riordino del settore spettacolo

di Anna Laudati
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Fondamentale volano per le imprese, le industrie culturali rappresentano un potente strumento propulsore dello sviluppo economico per assicurare il rilancio del territorio e la creazione di nuovi posti di lavoro (di Paola Pepe)

teatro.jpgLavorare nel mondo dello spettacolo è il sogno di moltissimi giovani. Da sempre, del resto, le professioni artistiche costituiscono per il nostro Paese un patrimonio significativo apprezzato in tutto il mondo. I mestieri che ruotano attorno a questo settore sono davvero tanti e diversi tra loro e richiedono infinita passione, determinazione, studio ma anche disponibilità economica e capacità di spesa. Oggi, purtroppo, le attività di spettacolo stanno vivendo tempi difficilissimi soprattutto perché a loro sostegno non sono arrivate quelle misure che invece hanno premiato e rilanciato altri settori.

Solo lo scorso luglio, tutta l’industria dello spettacolo è stata esclusa dai provvedimenti anticrisi del nostro Governo. Colpo durissimo alla cultura e all'arte italiana, che ha ridotto ulteriormente le prospettive occupazionali per i giovani che si affacciano a queste professioni e ha messo in ginocchio centinaia di imprese. Il Consiglio dei Ministri, infatti, si è rifiutato di reintegrare anche solo parzialmente il pesante taglio al Fus (Fondo unico dello spettacolo), che avrebbe consentito la sopravvivenza minima di attività culturali come teatro, cinema, danza, opera, musica, circhi e spettacoli viaggianti ignorandone completamente il rilievo economico in termini imprenditoriali e sopratutto occupazionali. Senza dimenticare la pesante ripercussione sulla funzione educativa e formativa dell’arte verso i giovani fruitori di spazi culturali sottoposti a tagli. 

Il 13 gennaio scorso, dopo molti mesi, il Ministro Bondi ha discusso in Parlamento la riforma del cinema, dello spettacolo, delle fondazioni lirico sinfoniche e la situazione dell’Imaie, l'Istituto che tutela i diritti degli artisti, interpreti ed esecutori, commissariato di recente. Con grande sorpresa, la riforma sul cinema è stata demandata alla Presidenza del Consiglio e per la precisione ad un tavolo coordinato dal professor Mario Latorre e presieduto dal Ministro Gianni Letta. “La scelta del tavolo a Palazzo Chigi, - ha precisato Bondi - non significa in alcun modo una deminutio del ruolo del Ministero dei Beni Culturali […] E' un tavolo di coordinamento tra i vari Ministeri ed è stato fatto per dare valore politico a questa materia". Quindi, probabilmente, a legiferare sul cinema, ci saranno due padri celebri Gianni e Silvio genitori rispettivamente di Giampaolo Letta e Piersilvio Berlusconi, impegnati nella dirigenza e nella proprietà della maggior casa di produzione cinematografica italiana, la Medusa.

Altro punto nodale dell’audizione parlamentare di Bondi, la Riforma delle Fondazioni Lirico Sinfoniche. Nell’anno in cui lo stesso Bondi ha retto il dicastero delle attività culturali, il deficit dei grandi teatri lirici è praticamente raddoppiato passando da 160 a 290 milioni di euro. Il 29 gennaio prossimo, dunque, sarà una data importante per questo settore. Il principio del decreto sul mondo dell’opera è di riposizionarla, in chiave moderna, in una logica aziendale. Fortunatamente, a smentire le precedenti dichiarazioni, nella bozza del testo si stabilisce che non saranno aboliti i contratti di settore né sarà tolta ai comuni la nomina dei sopraintendenti, e ancora che non ci saranno distinzioni tra fondazioni di serie A ed altre di serie B. L'età pensionabile dei ballerini sarà portata, per gli uomini e per le donne a 45 anni. A fine mese si voterà anche per la Legge sullo Spettacolo dal Vivo presentata dall'onorevole Carlucci. Fondamentale anche la discussione sul contributo dei privati alla cultura.

Bondi ha fatto notare, riferendosi al dibattito sollevato da Alessandro Baricco sulla necessità di lasciare spazio anche all’iniziativa privata nell’ambito del finanziamento della cultura e dello spettacolo, che bisogna trovare un punto di equilibrio, visto che in questo settore le risorse sono da sempre limitate e insufficienti. Certo è che l’intervento pubblico nel settore dello spettacolo e della musica deve essere considerato un vero e proprio investimento per il Paese e non una spesa improduttiva. Addirittura le precedenti esperienze italiane ed europee dimostrano che da flessioni significative di contributi pubblici deriva una tendenza al disinteresse anche da parte dei privati. I dati dimostrano che il settore cultura genera e sostiene in modo considerevole numerose iniziative economiche e imprenditoriali ad esso direttamente ed indirettamente collegate. La cultura dunque, deve essere considerata a tutti gli effetti uno strumento di crescita e sviluppo e l’industria culturale un motore di progetti capace di generare progresso economico e occupazione.