Call Center. Istruzioni per l'uso

di Anna Laudati

Quando il meccanismo s’inceppa, la qualità del lavoro e la vita del lavoratore sono sempre più a rischio. Intervistiamo  Costanza Di Lella, giovanissima rappresentante della UGL, operatrice in un call center (di Gianfranco Mingione)

tempi_moderni_film_charlie_chaplin_fonte_tuttoilcinema.it.jpg“Ogni azienda è un mondo a sé ma in generale i call center lavorano spesso per grandi committenti esterni e partecipano a delle gare per aggiudicarsi le commesse dove si scatena il meccanismo del massimo ribasso, per cui si arriva a non assicurare neanche il costo minimo del lavoro di un dipendente”. E’ il parere di Costanza Di Lella, giovane rappresentante sindacale della UGL, operatrice in un call center.

Con lei cerchiamo di comprendere meglio cosa significhi lavorare in un call center e quali siano i passi da compiere per migliorare delle regole che rendono un ambito lavorativo fortemente disequilibrato al suo interno che vede due protagonisti lottare con armi impari: da una parte i lavoratori, sempre più deboli e troppo spesso soli, dall’altra parte il datore di lavoro verso posizioni sempre più forti e, in alcuni casi, protagonista di un mercato del lavoro senza regole e inibizioni etiche.

Il call center è, in termini di paragoni, come una moderna catena di montaggio dove gli ingranaggi vengono tenuti in ordine dalle centinaia di operatori che lavorano dall'altra parte della cornetta. Quanto le aziende investono in formazione, tutela medico-sindacale e incentivi per i lavoratori dei call center? Ogni azienda è un mondo a sé ma in generale i call center lavorano spesso per grandi committenti esterni e partecipano a delle gare per aggiudicarsi le commesse dove si scatena il meccanismo del massimo ribasso, per cui si arriva a non assicurare neanche il costo minimo del lavoro di un dipendente. Questo fa nascere fenomeni di sottoinquadramento e mancata o non completa tutela anche dal punto di vista della sicurezza. Proprio in questi giorni sto partecipando ad un tavolo al Ministero dello Sviluppo Economico che deve analizzare tali questioni, partendo proprio dal meccanismo sbagliato insito nelle procedure seguite per le gare. Non credo sia più possibile rimandare l’assunzione della responsabilità sociale d’impresa anche da parte dei committenti.

Come si può migliorare un lavoro che seppur criticato da più parti, attaccato spesso come noioso e ripetitivo, si costituisce come moderna ed indispensabile forma di relazione tra l'impresa pubblica o privata e l'utente? Lo si può migliorare partendo proprio dalla difesa delle condizioni di lavoro e della dignità dei lavoratori e non stancandosi mai di affermare che accanto alle “esigenze di servizio” esistono anche delle “esigenze umane” che non possono essere continuamente ignorate.

Puoi descriverci una tua giornata di lavoro? Mi occupo di assistenza clienti e quindi sono la persona che si “becca” al telefono anche le urla e le parolacce e alcuni giorni, oltre le pause da videoterminale (15 minuti ogni 120 minuti di lavoro) non c’è, tra una chiamata e l’altra, neanche il tempo di salutare il vicino di postazione. Però, nello stesso tempo, è un lavoro, come tutti quelli a contatto con il pubblico, che ti pone di fronte anche ad episodi divertenti. Spesso si ha un’immagine sbagliata e dequalificante del lavoro dell’operatore di call center mentre in realtà bisogna avere una serie di capacità e competenze per poterlo svolgere.

Ed infine, che consiglio daresti ai giovani che vogliono intraprendere questo lavoro? Quelli che do ai nuovi arrivati che incontro sotto la mia azienda: cercate di documentarvi bene su tutti quelli che sono i vostri diritti e sappiate sorridere anche della telefonata più “arrabbiata”.