Borrelli: "Per uscire dalle difficoltà occorre una riforma del Servizio Civile "

di Anna Laudati

“Bisogna  attuare una campagna di sensibilizzazione della classe politica cui è delegata la responsabilità di promuovere e sviluppare il servizio civile”. Tre domande ad Enrico Maria Borrelli, presidente del Forum Nazionale per il Servizio Civile (di Francesco Enrico Gentile)

 

palombi._porea._enrico.jpgIl Direttore Generale dell’UNSC, Leonzio Borea, ha indicato un percorso a tra tappe per rendere in qualche modo il sistema servizio civile piu’ sostenibile: detassazione Irap, riconoscimento dello status di volontario in servizio civile con conseguente riduzione del peso INPS e  apertura a donazioni private. Cosa ne pensa? Penso che questa strada sia interessante anche se ritengo che le soluzioni individuate siano comunque temporanee, il che mette in luce una preoccupante sfiducia in una reale crescita del sistema. Le proposte avanzate dal Direttore Generale (in foto con Enrico Maria Borrelli) rappresentano un intervento certamente pragmatico che parte, tuttavia, dall'assunto che i fondi della finanziaria resteranno esigui.

Trovandoci oggi all'inizio di una nuova legislatura, l'augurio degli enti e dei giovani è che si provveda a dare maggiore impulso al servizio civile nazionale, anche e soprattutto attraverso maggiori stanziamenti che tengano conto di una crescente domanda, espressione dei molteplici bisogni dei territori, che per l'appunto gli enti rappresentano e cercano di soddisfare attraverso la loro progettazione.

Andando per punti. La questione della detassazione Irap è una proposta da un lato e una necessità dall'altro. Le regioni sono, oramai dal 2006, compartecipi della gestione del servizio civile nazionale e tale funzione, vista nell'ottica della programmazione dello strumento e della responsabilità di radicarlo nella cultura dei giovani, non può essere esercitata con la sola ripartizione percentuale del fondo nazionale, ma deve necessariamente essere compartecipata dal finanziamento attraverso i bilanci regionali.

La possibilità che hanno le regioni per impiegare le risorse dei propri bilanci a favore di una crescita del servizio civile sono sostanzialmente due. La prima, e più evidente, è certo quella di uno stanziamento diretto di fondi, che comprendo necessiti di una programmazione e di un riassetto della spesa regionale che matura con il tempo. E' una strada che le regioni dovranno perseguire, soprattutto se vorranno continuare ad avere un ruolo determinante nella gestione del servizio civile, ma che dovrà essere introdotta con gradualità. Ad esempio le regioni potrebbero essere chiamate, sulla scorta di come già avviene in ambito di Protezione Civile, a partecipare percentualmente al finanziamento dei progetti regionali. Il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile riconosce alle regioni uno stanziamento di fondi nazionali pari a quello che le regioni prevedono, nei propri bilanci, per la protezione civile.

Vale a dire che una regione che stanzia 5 milioni di euro riceve, dal Dipartimento Nazionale, altri 5 milioni. Nel caso del servizio civile le regioni potrebbero iniziare con percentuali minori in attesa di poter definire, con programmazioni pluriennali, un impegno sempre maggiore. In questo modo l'attuale fondo nazionale per il servizio civile, che ammonta a circa 250 milioni di euro, potrebbe crescere prima del 10, poi del 20, poi del 30%  e questo produrrebbe un notevole impulso al radicamento del servizio civile che avrebbe la capacità di finanziare decine di migliaia di volontari in più ogni anno senza che questo gravi sul solo bilancio dello Stato.

La seconda modalità di finanziamento che le regioni potrebbero da subito mettere in campo è quella di consentire la detassazione dell'Irap, ovvero la rinuncia a percepire dal Fondo Nazionale questa tassa che oggi incide sul numero di volontari che si possono avviare annualmente. Questo non è un finanziamento attivo, ma una mera rinuncia ad introitare una tassa che lo Stato paga per un servizio di cui le regioni stesse godono nei loro territori.

Siamo di fronte ad una contrattazione non certo semplice da definire nei suoi aspetti giuridici, ma non possiamo non convenire con l'UNSC che accanto alla responsabilità di gestione le regioni debbano esprimere coscienziosamente anche una responsabilità e un ruolo nello sviluppo di questo strumento.

La questione dell'Inps è decisamente e strutturalmente più complessa. In Italia il sistema fiscale non prevede la corresponsione di stipendi, spettanze, prestazioni o quant'altro, che non siano tassate. Ciò riapre l'annosa questione su quale forma fiscale debba assumere il compenso mensile dei volontari in servizio civile. Di fatti, come può dirsi volontaria una prestazione in un qualche modo retribuita? Per dirsi volontaria i giovani dovrebbero ricevere un mero rimborso spese che in quanto rimborso può essere corrisposto unicamente a fronte della documentazione delle spese sostenute. Così non è. I giovani percepiscono qualcosa che si chiama rimborso, ma che in realtà è un piccolo stipendio. Non solo. I giovani non fanno volontariato, ma stipulano un contratto con oneri, orari, carichi di lavoro, malattie, permessi e tutto quanto li parifica, nella teoria e nella pratica, a collaboratori con un contratto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ergo, il riconoscimento dei versamenti INPS non vedo come lo si possa evitare.

In questo, il Direttore Borea propone una soluzione decisamente radicale, vale a dire il riconoscimento di un nuovo status giuridico e, conseguentemente, anche fiscale. In questo modo, passando quindi per una norma che ne definisca i contorni giuridico-fiscali i giovani che partecipano al servizio civile potrebbero essere inquadrati come una nuova categoria per la quale le regole possono essere diverse da quelle che oggi valgono per i semplici volontari o per i dipendenti. Qualcosa di nuovo, insomma, e qualcosa di cui gli stessi giovani sentono un forte bisogno di chiarezza.

Infine, la terza proposta, quella di attingere a fondi privati è la più agevole, in termini giuridico-normativi, ma lascia spazio ad una domanda che a noi enti del terzo settore è nota: chi cerca i fondi? L'attività di fund raising è un'attività che richiede grande professionalità poichè il finanziatore privato raramente investe per nobile filantropia, più spesso per un preciso obiettivo di comunicazione che lega ad un progetto sociale. Non possiamo dimenticare che l'UNSC è una struttura pubblica, per altro in continuo affanno a causa della scarsità di risorse economiche ed umane di cui può disporre, e non credo che riesca ad attivare una forma di finanziamento privato capace di essere realmente determinante per lo sviluppo del servizio civile. Un volontario costa oltre 7.000 euro l'anno, quanti riusciremo a farne partire con finanziamenti privati?

Certo anche gli enti potrebbero cercare fondi per i propri progetti e veicolare il ricavato all'interno del Fondo Nazionale per il Servizio Civile, così come prevede la norma, vincolandolo al finanziamento del proprio progetto. Mi chiedo se l'UNSC abbia pensato anche a questo? E se ha pensato a quante sono le piccole associazioni che a stento hanno negli anni messo insieme le capacità di progettare e gestire il servizio civile e che, quasi sicuramente, capitolerebbero di fronte all'ennesimo ed improprio sforzo di rivolgersi direttamente ai privati per chiedere fondi. L'UNSC ha una grande responsabilità nei confronti dei giovani e, quindi, dei propri enti poichè senza enti il sistema non può esistere e senza i fondi per i giovani gli enti non possono attivare i progetti. Concludo sostenendo la bontà dell'idea, ma le difficoltà sono tante e l'UNSC deve raccordarsi con gli enti non solo sulla partita dei fondi privati, ma innanzitutto su di una sensibilizzazione del parlamento e delle regioni perchè vengano stanziati a monte maggiori fondi.

Come secondo lei si  è arrivati a tale condizione di precarietà del sistema servizio civile e qual è la via d’uscita? La storia del servizio civile non è diversa da quella di nessun'altra politica. La finanziaria dello Stato è sempre stata una coperta corta, così un anno la si tira dalla parte del servizio civile e un altro da quello delle politiche sociali, un anno per le imprese ed un altro per la scuola. Insomma, i soldi sono pochi per tutti i bisogni, per altro crescenti, che esprime un Paese complesso come l'Italia. Tuttavia, sottolineo che il problema più grande non è tanto l'ampiezza del sistema di servizio civile quanto la sua qualità. Oggi esistono in Italia enti che sono impegnati in ambito nazionale e piccole realtà locali, enti che hanno investito ed investono per la crescita del servizio civile ed enti che provano a scrivere un progetto senza la necessaria consapevolezza. Inevitabilmente gli enti che offrono maggiori garanzie di tenuta e di qualità dell'esperienza per i giovani sono quelli che hanno una maggiore esperienza e che, per tanto, esprimono  maggiori esigenze e numeri di volontari più elevati.

Questi enti sono quelli che hanno strutture adeguate, professionalità consolidate all'interno dell'organizzazione, capacità di gestione e di rapporto con il territorio, nonchè bilanci incentrati sul servizio civile. Una valutazione superficiale potrebbe indurre a pensare che limitare i numeri dei grandi enti, senza aver pensato ad una diversa e più strutturata programmazione del sistema, sia una soluzione che porti a soddisfare maggiori bisogni. In realtà non è il numero delle organizzazioni finanziate a poter rappresentare un valido indicatore del radicamento del servizio civile, quanto la qualità del servizio civile prodotto ad essere garanzia di solidità del sistema e opportunità per la sua crescita. L'ingresso delle regioni ha spostato la distribuzione del servizio civile dagli enti nazionali a quelli regionali poichè si è creato un doppio canale di competizione. Quello nazionale, di livello elevato, nel quale concorrono l'una contro l'altra le migliori esperienze del nostro Paese. Quello regionale nel quale competono le piccole realtà su di un livello decisamente più agevole. Il risultato è che riscontriamo un dato delle domande dei giovani in forte calo, non soltanto al nord dove storicamente il servizio civile ha avuto meno presa come proposta formativa per i giovani, ma anche al sud dove, in extremis, i giovani facevano domanda anche solo per l'occasione di una retribuzione.

Ebbene al centro e al sud il problema occupazionale permane, ma le domande di servizio civile calano. I giovani, dobbiamo ammetterlo, non hanno trovato nel servizio civile l'esperienza che si aspettavano e i soldi, da soli, non bastano. Se il sistema vuole sopravvivere queste valutazioni vanno tenute in debito conto, altrimenti politiche miopi di distribuzione dei fondi porteranno l'inesorabile tracollo di un'esperienza importante e di una parte importante della storia della cittadinanza nel nostro Paese. 

Politicamente il Forum Nazionale per il servizio civile che azioni intende intraprendere? Innanzitutto una campagna di sensibilizzazione della classe politica cui è delegata la responsabilità primaria di promuovere e sviluppare il servizio civile. Ancora oggi in parlamento siedono persone che non hanno idea di cosa sia il servizio civile nazionale. Questo non aiuta la discussione in sede di finanziaria quando si chiedono maggiori fondi. Il nostro obiettivo è quello di puntare all'esperienza degli Stati Uniti dove tutte le organizzazioni che si occupano di Civile Service hanno promosso un'iniziativa di legge che entrambi gli attuali candidati alla Presidenza Americana si sono impegnati ad approvare entro il 2009. I contenuti? Programmi, sviluppo, radicamento, diffusione e fondi. E' stata la società civile a farsi promotrice di questa campagna e il Forum Nazionale per il Servizio Civile ne rappresenta una parte importante. All'Ufficio Nazionale, al Sottosegretario Giovanardi e al Direttore Borea chiediamo la possibilità di confrontarci costantemente su questi temi, in pubblici incontri e nelle sedi istituzionali deputate alla rappresentanza di questo mondo, confidando nella sensibilità che questo Governo, nella sua precedente esperienza, ha già dimostrato di avere.