Il fiore della fiducia
Quando da bambina ho letto il Piccolo Principe una frase mi ha colpito su tutte, diceva che è una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto. Era un invito ad avere fiducia, un canovaccio da seguire per poter continuare a sentire i profumi delle rose, quei profumi ai quali rischiamo di rinunciare quando tante, troppe spine, hanno graffiato la nostra pelle o, peggio, la nostra anima. Sembra che l’uomo non abbia imparato dagli errori del passato, e la percezione è che tutto possa andare per il peggio. Eppure Antoine de Saint-Exupery, con questo monito, voleva incidere nella carta una lezione che aveva imparato, probabilmente a sue spese, con quello che comunemente definiamo “esperienza”. Poi però mi guardo intorno, mi soffermo a osservare le persone che incontro nella mia quotidianità e non posso fare a meno di notare che, benché abbiano storie, lavori e vite diverse, sono tutte mosse da un unico sentimento che, trasversalmente, è capace di unirle. È lo stesso sentimento che muove il mondo, l’unico che oltre l’amore è capace di definirci, di farci scegliere, di cambiare.
La fiducia.
Non c’è nessun modo per capire se ci si può fidare di qualcuno se non dandogli fiducia, con un atto preventivo, e quando questo investimento si realizza nella maggior parte dei casi il sentimento è ricambiato. In buona sostanza, potremmo definire la fiducia un atto di coraggio verso qualcuno o qualcosa; o verso se stessi. È difficile perché la fiducia è libera, non è “obbligatoria” come la fedeltà, e necessita di concretezza a differenza della fede. Ma è una tensione alla quale dobbiamo puntare, e le storie che ho vissuto fin qui, girando l’Italia, il Mondo, dalle grandi città ai piccolissimi comuni, mi hanno insegnato soprattutto questo. Non esiste poi soltanto una fiducia verso il prossimo, esiste anche una fiducia in sé stessi, e una fiducia verso il futuro. Se è vero allora che la società della competizione globale ha allontanato la vicinanza reale tra le persone, nonostante sia facilissimo rimanere in contatto con ogni strumento digitale, è vero anche che questo racconto di finta perfezione - che su questi canali si trasmette - ha minato dall’interno l’autostima di tantissime persone. C’è una combinazione che diventa pressante come un elefante su uno stelo sottile, quella tra i media che raccontano di storie superlative, e quella della generazione precedente, che ha vissuto un mondo totalmente diverso e non se ne rende conto. I paragoni impropri, che anche noi finiamo per fare perché condizionati da tutto questo, mettono terribilmente paura, ci fanno sentire in ritardo rispetto alla scaletta che altri hanno scritto per noi. Ma è una condizione condivisa, e averne la consapevolezza potrebbe alleggerirne il peso. La vita è nostra, e la diversità è sempre ricchezza, perché ognuno ha il proprio personale destino da costruire.
Oltre a parlarne, però, mi sono chiesta se c’era qualcosa che potessimo fare di concreto, se questa fiducia potesse essere in qualche modo protetta e incanalata. Ed è proprio così che, come Consiglio Nazionale dei Giovani, abbiamo deciso di realizzare uno strumento permanente di monitoraggio della fiducia dei giovani, che aggiorniamo con una cadenza bimestrale con l’obiettivo di analizzare e monitorare l’evoluzione del sentimento in tutti gli ambiti della vita, come lavoro, istruzione, parità di genere, fiducia nelle istituzioni.
Il primo dato che è emerso è quello di un approccio positivo alla vita, nonostante le crisi e le difficoltà subite, i giovani italiani restano resilienti e ottimisti rispetto al futuro (sono infatti il 67%). Rispetto ai dati precedenti c’è da dire che il trend di fiducia è in crescita (con un +4%) ed è un dato di una potenza inaudita, perché rappresenta tutta la forza morale di questa generazione, nonostante sia stata la più impattata dalle recenti crisi, numeri alla mano. Prevalgono, dopo l’estate, la speranza e la riflessione, sintomo di una pausa che ha contribuito a far sedimentare le tensioni, con l’attesa di un nuovo inizio che carica di aspettative positive. Sono presenti tuttavia anche amarezza e tristezza, che sostituiscono la rabbia, presente nel precedente rapporto, quasi come a confermare che le negatività stanno perdendo di intensità. I giovani negativi sono al 33% con un calo del 4% rispetto a prima. Infatti, alla domanda su come sarà il futuro, il 61% pensa che sarà positivo, con un aumento di 3 punti percentuali.
Una fascia importante però continua ad avere paura, e davanti alla paura, spesso, c’è il rischio di sprofondare nell’immobilismo. Questo è l’errore in cui purtroppo cadono molti, confermato dalla presenza di amarezza e tristezza nel sondaggio. Troppo spesso restiamo immobili perché crediamo che i nostri sforzi non saranno abbastanza potenti per cambiare le cose, eppure, se ci guardiamo intorno, possiamo notare quante persone che ci circondano hanno superato momenti complessi perché hanno avuto fiducia nel futuro, e guardando al loro passato hanno poi trovato anche fiducia in sé.
Ho studiato però le vite di tante persone, indagando soprattutto sui momenti di flessione dei loro percorsi, perchè ho capito che se vogliamo fare la differenza dobbiamo agire diversamente. Queste persone, nei momenti difficili che compongono la vita di tutti, hanno avuto fiducia nel futuro, e guardando al loro passato hanno trovato anche fiducia in sé. Ho pensato allora che sia nostro compito costruirci innanzitutto un passato, una memoria collettiva, per avere a disposizione un bagaglio di esperienze superate, dove possiamo pescare per darci la forza ogni volta che ne abbiamo bisogno. Per questo chi vive esperienze di volontariato, associazionismo, o anche di servizio civile, riesce meglio di altri a raggiungere i propri obiettivi, costruendo skills che rendono occupabili, e non si imparano tra i banchi di scuola.
Ho capito allora che dobbiamo avere fiducia nel futuro, che per definizione è incerto perché non è ancora avvenuto, ma se restiamo ottimisti quello che ci spetta arriverà a noi. La chiamano Legge dell’Attrazione e io ci credo moltissimo, e i dati in miglioramento sulla povertà e l’alfabetizzazione mondiale sono ottime basi per avere speranza. Questa consapevolezza mi ha aiutato molto nei momenti di sconforto, e ve la consegno nella speranza che possa aiutare chiunque di voi a ritrovare la serenità, che è la base essenziale per l’impegno.
Quello che mi ha colpito però nelle ultime misurazioni è che si sono ribaltati i dati che riguardano la fiducia nella scuola, dove il 78% dei fiduciosi rappresenta un calo di ben 5 punti percentuali rispetto alla precedente indagine. Come spesso abbiamo ribadito allora crediamo ci sia la necessità di uniformare i percorsi formativi a livello europeo, per realizzare omogeneità nell’offerta di capitale umano al mercato del lavoro, sia per competenze acquisite che per durata dei cicli formativi. É importante a questo fine anche riconoscere le competenze non formali acquisite in esperienze altre rispetto ai percorsi canonici, per aiutare l’occupazione. L’85% degli intervistati ritiene infatti che avere un contratto di lavoro stabile possa farlo sentire più sicuro nelle scelte di vita. Si tratta di un numero importante di persone, ma c’è un calo del 4% rispetto al precedente. Sembra che la rassegnazione, sulla strada della great resignation internazionale, cominci ad erodere anche qui la voglia di crescita. La consapevolezza della difficoltà nell’essere indipendenti si legge dal 92% degli intervistati che pensa che i ragazzi dipendano molto dalle proprie famiglie per completare il loro percorso di studi. La mancanza di opportunità, secondo gli intervistati, viene attribuita alla provenienza familiare. Mi spiego meglio, nel nostro Paese abbiamo dimostrato con i nostri studi che la povertà educativa è ereditaria, cioè che chi nasce in un contesto dove il livello di formazione è basso ha meno opportunità di raggiungere i gradi più alti di istruzione. È il primo segno della mancanza di un ascensore sociale che consenta ai meritevoli privi di mezzi di raggiungere la migliore versione di sé, come prevede la Costituzione.
La bassa prospettiva delle aspettative spesso fa sì che ci sia una rinuncia all’impegno, eppure la consapevolezza tra i giovani è quella di dover agire insieme per cambiare le cose tra donne e uomini, giovani e anziani, centri e periferie, perché solo così potremo tutelare gli interessi di sviluppo per il futuro. La speranza è ben riposta, perché oltre ai dati positivi che emergono dal nostro sondaggio ce n’è un altro che mi fa ben sperare, sull’atteggiamento propositivo di questa generazione: per 52mila posti a disposizione per il servizio civile sono arrivate quest’anno 115mila domande, raddoppiando quelle del 2023. Segno di una generazione che si mette in gioco, e vuole dare il proprio contributo.
Sapete, mi è capitato qualche mese fa, andando a lavoro in auto, di leggere una scritta enorme sulla scalinata monumentale della Galleria Nazionale di Roma: “Le radici devono avere fiducia nei fiori”. Queste parole mi rimbombano dentro, e non posso fare a meno di emozionarmi. Le radici non sanno e non sapranno quanto sono belli i fiori che sbocceranno, ma continuano a scavare il terreno, a scendere in profondità per farsi solide, a testa bassa e soprattutto nel buio. È grazie alle radici che i fiori possono sbocciare e consentire la nascita di nuova vita. Così dobbiamo fare, come radici che si abbracciano tra loro, nonostante il buio, sbocceranno fiori, ne sentiremo il profumo.