Le organizzazioni socio culturali diventano imprese

di Anna Laudati

Pensare alle organizzazioni socio culturali come ad imprese, di per sé sembrerebbe facile. Nella realtà, spesso ci si scontra invece con difficoltà concrete a livello operativo (di Andrea Sottero

Premesso che sempre più spesso le imprese, associazioni e fondazioni di questo tipo devono rendersi indipendenti dai finanziamenti pubblici erogati a fondo perduto (per altro di anno in anno più magri), la necessità di reperire capitali da investire, anche a fronte di un successivo ritorno, si scontra con la richiesta legittima del mercato di fornire delle garanzie patrimoniali sufficienti nei confronti dei terzi creditori. Un problema non di poco conto, se si pensa che stiamo parlando di realtà spesso piccole, che non hanno a disposizione investimenti materiali (per esempio di natura immobiliare) sufficienti da far figurare a patrimonio.

Uno dei seminari che ha animato l’edizione di quest’anno di Artlab ha cercato di fare luce proprio sulle possibili soluzioni a questo problema, evidenziando le criticità, le zone grigie e le proposte concrete.

 

Al di là dei vari tecnicismi (per altro espressi con una semplicità disarmante, senza derogare alla chiarezza) su come iscrivere lecitamente, con garanzie effettive di affidabilità, beni e diritti immateriali a patrimonio, ci sembra particolarmente interessante l’intervento della dott.sa Laura Bellicini che si è soffermata sull’opportunità di una rilevazione contabile delle prestazioni volontarie. Un argomento che interessa in modo rilevante il settore, visto che, soprattutto a livello operativo, gran parte delle organizzazioni presenti sul territorio non riuscirebbe a svolgere le sue attività senza il supporto di un cospicuo numero di volontari.

 

La dott.sa Bellicini ha sottolineato come a livello contabile l’apporto del lavoro volontario per lo più sfugga, non risultando in bilancio né come costo né, tanto meno, come ricavo. Si tratta di un’anomalia sotto molteplici punti di vista, che sia una raccomandazione esplicita del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Commercialisti, sia il documento 116 emanato dal FASB vorrebbero correggere. D’altra parte non si tratta semplicemente di un aspetto formale, ma di un problema che investe direttamente l’ambito fiscale: secondo l’art 149 del TUIR, infatti, per accedere ai vantaggi fiscali riservati agli enti non profit, deve sempre essere verificata la prevalenza dell’attività istituzionale rispetto a quella commerciale. 

 

Spesso invece nei conti economici dei bilanci di tali organizzazioni viene contabilizzata, per esempio, la vendita di un libro pubblicato a conclusione di un evento e non l’intero lavoro svolto per allestire la manifestazione, dando un’immagine non completa dell’attività avvenuta.

Considerando che laddove ci si trovasse di fronte ad una prestazione gratuita pluriennale, magari relativa ad un lavoro di alto profilo, tale collaborazione volontaria potrebbe essere iscritta nello stato patrimoniale, i vantaggi di una scelta contabile di questo tipo per le imprese sarebbe notevole. 

Nella realtà ci si scontra, però, con i costi che una struttura gestionale e amministrativa in grado di fare fronte a questo tipo di analisi richiederebbe, oltre che con paletti burocratici, che nel caso, ad esempio, di prestazione gratuita da parte di un artista, non rendono ad oggi appetibile al professionista stesso (per l’impossibilità di una detraibilità fiscale) la valorizzazione di tale prestazione.