Viaggio nelle Chiese "inaccessibili"

di Anna Laudati

Anche le chiese “peccano”. Che peccato! (di Veronica Centamore)

chiesa20amalfi.jpg“La pensione d'invalidità è una miseria, i servizi si pagano sempre di più, il lavoro scarseggia, i trasporti sono spesso inaccessibili esattamente come venti anni fa forse peggio, a scuola mancano gli insegnanti di sostegno, al Sud si sta decisamente peggio che a Nord pur essendo tutti cittadini italiani, il futuro è incerto, le famiglie si sentono spesso lasciate da sole, il servizio civile non è più finanziato, almeno una volta c'erano gli obiettori, la social card non fa per voi a meno che non siate dei clochard, e potrei continuare l'elenco…”(F. Bomprezzi)

Parole dure queste ma parole vere, vere e tangibili come la disabilità di chi le scrive (Franco Bomprezzi: carrozzato!). Forti da leggere come forte è la stessa sottolineatura rossa che pure il programma word del nostro pc ancora evidenzia come parola “sbagliata”. Ma il computer è una macchina programmata dall’uomo e se in primis è l’uomo a non accettare certi termini come si può pretendere che sia il computer a farlo? Ma questo è giustificabile quando si tratta di una macchina cioè di un oggetto non dotato di quel qualcosa che può metterlo nella condizione di dire “cogito ergo sum” (penso quindi sono) e di conseguenza… “ago” (faccio)  ma quelli che invece sono dotati di strumento pensante, cioè di attività cognitive… davvero non  riescono a comprendere l’esistenza di una certa realtà? Davvero, e soprattutto ancora, si ostinano a non volerla vedere? A non accorgersi che certe persone non sono nella condizione di poter agevolmente muoversi come altre?

“Venite a me o gente” 2000 e più anni fa chiedeva un uomo chiamato messia e che ancora, in qualche modo, invita e chiama a raccolta il suo popolo. Ma come si può venire a te, Signore, quando non ci sono le condizioni materiali per poterlo fare? Spesso il problema compare fin dall'esterno, sotto forma di scalinata più o meno ripida, altre volte bisogna varcare la soglia d'ingresso per accorgersi che qualcosa non va: spazi stretti, banchi e colonne che possono diventare vere e proprie barriere, passaggi non adeguatamente segnalati per chi non vede, un vero è proprio percorso da giochi della gioventù per poter giungere alla meta, il luogo di preghiera. Ma Gesù non era nato in una mangiatoia? E in tutti i presepi esistenti, viventi o meno, non si sono mai viste barriere architettoniche, i re magi arrivavano dritti dritti dal messia.

Sull'accessibilità delle chiese, monumentali o parrocchiali, c'è molto da lavorare ma più che su essa, bisogna farlo sulle persone. Giacomo e suo fratello, due ragazzi dalle grandi ruote per poter deambulare, volevano partecipare al matrimonio di un caro parente, il quale, per poter avere il piacere di trovarseli accanto quel giorno, era pronto a mettere degli scivoli (che addirittura sarebbero poi rimasti alla chiesa come dono) ma alla richiesta del giovane promesso sposo il sacerdote (per nulla rappresentante di Dio in terra) ha detto: “Ma è proprio necessario averli in chiesa?”. Ebbene si, quest’invito “Non s’ha dda fare”. Senza parole. E se Giacomo avesse intenzione di sposarsi… Boh! Che dire… Qualcuno però nel frattempo dice che… qualcosa, si sta muovendo, in particolare per le strutture più recenti, che possono infatti accogliere con maggior facilità gli interventi di adeguamento.

Sono finiti i tempi in cui i disabili se ne stavano a casa, per fortuna… se ne sono accorti? Oppure qualcuno vuole che si torni a questo? Si è fatta tanta fatica per portali giustamente nel mondo e adesso che si fa? Non si è pronti per accoglierli? É semplicemente assurdo!
Complessa diventa la faccenda nel caso delle chiese "storiche": un patrimonio artistico indiscutibile, che mostra però anche la scarsa attenzione del passato alla questione "barriere architettoniche". E così, trovare una soluzione per queste strutture diventa una vera e propria impresa.

Don Giuseppe Russo, Responsabile del Servizio Nazionale per l’edilizia di culto della CEI, Conferenza Episcopale Italiana traccia un profilo sull’accessibilità delle chiese italiane:

“Il livello di accessibilità delle chiese in Italia si può definire un livello medio di accessibilità se ci riferiamo alle chiese degli ultimi decenni; ad un livello basso se andiamo indietro nel tempo (…) nell’ambito delle istruttorie dei progetti delle nuove chiese, si cerca di imporre un requisito di accessibilità in grado di consentire almeno l’accesso e la fruizione degli ambienti interni (…) Gli interventi più comuni consistono nella realizzazione di rampe di accesso e nella predisposizione dei servizi appositi. Molto meno frequente è lo studio e la realizzazione di ulteriori accorgimenti, quali i percorsi specifici per i non vedenti." Certo, come se i non vedenti fossero disabili di serie b. Vabbè che chi ha fede deve credere su ciò che sente più che su quello che vede, però… “Le segnalazioni degli utenti possono costituire il migliore indicatore dei limiti all’accessibilità, così da suscitare idonee riflessioni ed avviare percorsi formativi ad hoc, e progettare interventi di adeguamento intelligenti ed efficaci." E certo! Come se fosse necessario fare le singole segnalazioni perché non è risaputo dell’esistenza di persone disabili che vorrebbero poter professare la loro fede nel luogo di culto deputato. Bisogna “indicare” per aiutarli a riflettere e poi chissà… beh! Un po’ da ridere viene ma non è proprio un sorriso di gioia. Nel futuro più prossimo, si dice che le chiese godranno di appositi adeguamenti.
“Per ogni progetto di nuove chiese, ma anche di locali di ministero pastorale, la nostra struttura impone che non siano presenti barriere architettoniche, attraverso l’inserimento di rampe di accesso e di idonei ascensori per i salti di quota consistenti, così come si esige che siano previsti servizi per i disabili." Speriamo!

Il Giubileo nel 2000 sembrerebbe aver dato uno “stimolo” all’accessibilità delle chiese. Ma questo significa che dobbiamo aspettare altri ventanni per vedere qualcos’altro di tangibile?

“Però, cari amici, guai perdersi d'animo. Io lotto da una vita, perché la vita mi ha regalato la disabilità subito, dal primo giorno, e ora ho 56 anni. Penso ai giovani, ai ragazzi e alle ragazze che potrebbero raccogliere il testimone e cercare di cambiare il mondo, con allegria, ironia, entusiasmo, rabbia, insolenza. Qualcosa si può fare, ognuno di noi la può fare. Ma soprattutto, cari amici disabili, permettetemi di parlare un attimo agli altri, a quelli che non hanno problemi o credono di non averli: guardate che la disabilità vi riguarda, vi tocca da vicino, tutti i giorni, in famiglia, al lavoro, per strada, nella vostra esistenza perché comunque si invecchia e ci si ammala (non voglio portare sfortuna, credetemi…). Se anche non volete essere buoni, e non ci riuscite, siate almeno tutti un po' più egoisti, e costruite insieme a noi una società più solidale, più accogliente, più giusta, con meno discriminazioni. Insieme si può. (F. Bomprezzi)

Yes, we can (Dall’altra parte dell’oceano pare abbia funzionato). Che ne dite… proviamo?