Un dono che si chiama Sindrome di Down

di Anna Laudati

Sempre meno famiglie ricorrono all'interruzione di gravidanza terapeutica nel caso in cui venga accertata la sindrome di Down (di Veronica Centamore)

down.jpgAlex Bell è una donna inglese di 53 anni, quando ne aveva 22 ha adottato il suo primo figlio, Matthew e fin qui nulla di straordinario ma l’eccezionalità del fatto arriva quando si scopre che questo bambino è …affetto dalla sindrome di down. E se questo non bastasse a far diventare l’accaduto un caso, arriva un’altra chicca che ci fa pensare che talvolta è proprio vero… “non ci sono proprio limiti alla provvidenza” (per fortuna)…  Alex ha accolto nella sua vita adottandoli altri 7 bambini, tutti down.

Che dire… lasciamo dire piuttosto: “Ho deciso che volevo adottare bambini quando avevo 22 anni e lavoravo come insegnante in una scuola speciale. Avevo dei fidanzati ma l'emozione dell'amore proveniva dai bambini con cui lavoravo, non dagli uomini che incontravo. Non ho mai sentito il desiderio di sposarmi ma volevo prendermi cura di un bambino che avesse bisogno di me (…) Ho visto per la prima volta Nathan che mi sorrideva da una foto in una rivista di adozione: era un bellissimo neonato felice e solo tre righe dopo c'era scritto: "bambino di tre mesi necessita di una nuova casa. Sindrome di Down. Nessuna complicazione." E' stato come se la fotografia mi saltasse addosso e acchiappasse il mio cuore: sapevo semplicemente che sarebbe stato mio (…) Come si può dire cosa si provi in quella situazione in cui le speranze e i sogni di un figlio perfetto svaniscono? Spesso ci sono matrimoni che non vanno e altri figli da crescere, non tutti hanno il supporto necessario per far crescere un figlio che può avere difficoltà. Ma io volevo realmente incontrare la mamma di Nathan  prima che diventasse mio, volevo sapere chi fosse, come fosse e capire un po' perché fosse arrivata a questa decisione”Addirittura l’amore di questa donna è talmente grande da farle comprendere che questo non può essere limitato e limitante e conseguentemente esclusivo. Riesce a capire quanto sia importante non concentrare l’amore di questi ragazzi attorno al suo ego e lo fa splendidamente mantenendo un continuo file rouge  con le persone che li hanno messi al mondo pur non essendo stati in grado o nella condizione di amarli totalmente per quello che sono e per come sono. “Nathan è ora un fratello e un figlio felice e molto amato. Quando vedo Sue (la madre naturale) e suo figlio insieme vedo il dolore sparire dai suoi occhi; non mi sento mai gelosa del tempo che trascorre con lei, voglio che i miei bambini si sentano più amati possibile. In conclusione, Sue ed io vogliamo la stessa cosa per Nathan: dopotutto siamo entrambi le sue madri”Sembrano le parole della Madonna verso i suoi figli. Qui ci si permette di fare questo sacro accostamento perché gli intenti e soprattutto le azioni di questa donna rimandano ineluttabilmente a quell’amore universale tanto predicato e ambito da secoli e questa, nella fattispecie, sembra proprio quello che si potrebbe definire a onor del vero un grande esempio di sacra famiglia. 

Inoltre dal Regno Unito, in merito alle persone affette da sindrome di down, arriva un’altra bella notizia: sempre meno aborti se il figlio è Down.

Nonostante l'introduzione dei test prenatali (il 1989 è stato l’anno in Gran Bretagna dei test che danno la possibilità alle donne in gravidanza di conoscere sempre con maggiore precisione lo stato di salute e le possibili patologie del nascituro ) è stato registrato un sorprendente aumento dei nascituri affetti dalla sindrome. Lo riporta un’indagine condotta dall’Associazione persone down, raccontata da un settimanale. Sempre meno famiglie ricorrono all'interruzione di gravidanza terapeutica nel caso in cui venga accertata la sindrome di Down. I dati recenti di un'inchiesta condotta oltremanica testimoniano che le nascite di neonati Down sono passate dalle 717 del 1989 (anno dell'introduzione del test ) alle 749 del 2006.

L’Associazione delle persone Down ha promosso un'indagine per scoprire le ragioni di tale fenomeno, sottoponendo a circa 1000 genitori un questionario sulle ragioni del rifiuto dell'aborto terapeutico. E’ emerso che uno su 5 non ha voluto credere al responso dell'esame, mentre un 30% del campione si è dimostrata convinta che i down abbiano maggiori prospettive rispetto al passato di vivere meglio rispetto allo stesso. Un quinto del campione ha riferito di aver conosciuto delle persone affette da tale sindrome; un terzo, invece, si è dimostrato contrario all'interruzione di gravidanza per motivi etici o religiosi. Gran parte delle famiglie interpellate, comunque, ha sostenuto che la disponibilità ed il sostegno di amici e familiari ha giocato un ruolo determinante per affrontare questa coraggiosa e straordinaria scelta di vita.

Questa indagine è sicuramente un’innovazione nell’ambito sociologico e testimonia che, finalmente grazie alla conoscenza, molte di queste persone “speciali” sono uscite da casa (nel vero senso della parola), hanno avuto la possibilità di integrarsi o includersi nel mondo lavorativo e sociale, e tutto questo ha aperto gli occhi, la mente ma soprattutto il cuore a quella gente cosiddetta normodotata che ha imparato a conoscere, avendo avuto “l’occasione dell’incontro”. Tante volte la mancanza di sensibilità verso certe diversità è dovuta proprio a questo gap, a questo vuoto d’incontro d’anime ma poi arriva l’occasione e per fortuna talvolta si cambia virata. E un plauso va a quella trasmissione che probabilmente per fare audience o no (non avendone bisogno) chiama i down per far scoprire certi loro lati teneri e ironici, mettendoli alla disponibilità di conoscenza di coloro che non sanno, perché dimostra che down non significa soltanto handicap e compassione ma anche persona, sentimenti ed emozioni. Veri.