TV. Queer as Folk: Gay come la gente

di Sara Troise

La serie tv nata in Gran Bretagna, cresciuta e pasciuta negli U.S.A., è la prova netta ed inequivocabile del fatto semplice e quasi scontato che non c’è nulla di tanto gay quanto la gente. (Sara Troise)

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"Dovete sapere che tutto ruota intorno al sesso. Sembra che gli uomini pensino al sesso ogni ventotto secondi - gli etero, ovvio. I gay ci pensano ogni nove secondi. Puoi essere al supermercato, in lavanderia o a comprare una maglietta: quando ti ritrovi a guardare un ragazzo ancora più intrigante di quello con il quale sei tornato a casa la notte prima. Ecco perché siamo tutti al Babylon all’una di notte invece che a letto. Ma chi è che vuole stare a casa, a letto - specialmente se da solo - sapendo che qui in ogni momento potresti incontrare lui. L’uomo più bello che sia mai esistito - che sia esistito almeno fino a domani sera".

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Esiste un detto inglese che recita: “there’s nought so queer as folk”, non c’è nulla di tanto strano quanto la gente. E di stranezze all’interno della serie statunitense che da questo celebre detto eredita il suo nome ce ne sono così tante che elencarle sarebbe veramente impossibile - e massacrante, per altro. Ma queer significa anche omosessuale. E Queer as Folk, serie tv nata in Gran Bretagna ma cresciuta e pasciuta negli U.S.A., è la prova netta ed inequivocabile del fatto semplice e quasi scontato che non c’è nulla di tanto gay quanto la gente.

C’era una volta un uomo di nome Brian Kinney - perfettamente interpretato da Gale Harold - che è esattamente tutto ciò che chiunque desidererebbe essere. Ricco, bello, carismatico. E - soprattutto - gay. Può avere tutto ciò che desidera - e chiunque egli riesca a desiderare - ed allo stesso modo può disfarsene. Tutto gli è dovuto e se non dovesse essere così glielo si concede o al massimo perdona. Semplicemente perché, come direbbe Linsday, madre di suo figlio, se ne frega. E once upon a time i suoi amici: Michael, Ted ed Emmett.

Emmett è il classico tipo che a Napoli definiremmo nu’femminell’: famoso per le sue magliettine attillate magenta, per lo smalto blu cobalto sulle unghie dei piedi; facilmente riconoscibile anche in una folla gremita per il suo teatrale gesticolare, per i suoi accurati consigli di moda e per tutto ciò che fa di lui un amatore raffinato ed elegante del bello. E quindi del trash.

Ted è un personaggio dimesso, frustrato, ma ironico. Rassegnato ad una condizione di eterno scapolo, s’innamora sovente di ragazzi che non potrà mai avere e che prontamente lo rifiutano. Quasi non ci fa più caso. Ha trentatré anni, fa il commercialista ed è così razionale da apparire a tratti cinico, ma ci piace per la sua celata sensibilità e per l’affetto incondizionato che lo lega a tutti i suoi amici in modo tenero ed indissolubile.

Michael è il best friend di Brian. Dire che vive in sua funzione sarebbe inesatto e forse riduttivo: partecipare in seconda persona agli infiniti successi di Brian Kinney significa essere spettatore della propria vita e dei propri insuccessi. E Michaey - è così che Brian lo chiama, spesso baciandolo sulla bocca - lo conosce da sedici anni. E lo ama. Follemente.

Ma Brian Kinney - l’uomo perfetto, quello che tutti noi vorremmo segretamente essere - è troppo impegnato a vivere la sua vita scardinata e scriteriata a base di sesso occasionale, droga e figli con lesbiche per rendersi conto del suo piccolo, eterno innamorato - e la situazione, ovviamente, non può che aggravarsi quando una sera - e praticamente dal nulla - spunta Justin. Lui è biondo, bello e vergine. Ha diciassette anni ed è un artista. E come tutti è irrimediabilmente ed infinitamente innamorato di Brian.

La differenza tra questo ragazzino apparentemente innocuo e l’umanità non è ovviamente il piercing al capezzolo - che disgraziatamente giungerà solo nella prima scena dell’episodio 1x07 - ma il fatto che inaspettatamente anche Brian comincerà gradualmente a ricambiare.

Queste ed altre le omo-stranezze di Liberty Avenue, sempre condite da deliranti dialoghi d’effetto, perfetti quanto incontestualizzabili: ci sarebbe tanto altro da dire circa Linsday e Melanie - le mamme del piccolo Gus - a proposito di Debbie, di Dafne ed abbondantemente bisognerebbe della flora e della fauna del Babylon: la gay-disco per eccellenza. E non sarebbero parole sprecate, assolutamente, perché nella sua stranezza (si legga omosessualità, dunque), Queer as Folk è il mondo gay visto attraverso gli occhi di un eterosessuale, un mondo corrotto, imperfetto ed affascinante. Del tutto ed inammissibilmente affascinante.

E’ lo specchio di una società decadente che si approccia al nuovo secolo flemmaticamente e con durezza, perplessità. Ma che balla, non si vergogna della propria sessualità e più in generale della propria stranezza e che - e soprattutto - non è stanca di vivere. Perché - inutile persino aggiungerlo - gay è bello.