Le pensioni dei giovani nell’epoca della flessibilità del lavoro

di Ermenegilda Langella

La crisi economica che stiamo affrontando da ormai 3 anni ha gettato tutti nell’incertezza aggravando ulteriormente la situazione di chi, già prima, viveva nel disagio dovuto ad un lavoro inesistente o precario. (Ermenegilda Langella)

Pensioni La categoria più colpita è sicuramente quella dei giovani e, in modo particolare, quella dei giovani meridionali. Nel Mezzogiorno, infatti, il tasso di disoccupazione arriva a toccare punte del 40% e non accenna a diminuire (Fonte: dati SVIMEZ) e per chi un lavoro ce l’ha il futuro non si prospetta roseo a causa delle incertezze legate alle pensioni.

Già fare previsioni a breve termine, con la situazione economica attuale, è un azzardo, prevedere tanti anni prima chi e come pagherà le pensioni per noi è un’illusione. I contributi versati oggi, infatti, servono a coprire le pensioni dei nostri nonni, ma chi ci garantisce che i nostri nipoti potranno pagare le nostre? L’unica certezza è che, per chi ci andrà, l’età pensionabile sarà sempre più alta.

La linea di confine del sistema pensionistico è l’anno della riforma Dini-Treu, il 1995, quando, per reali esigenze e perché il sistema corrente non era più adeguato, si passò dal sistema misto (retributivo e contributivo), che teneva conto della retribuzione e dei contributi versati, nonché degli anni lavorati, al sistema contributivo.

La riforma si basava su tutta una serie di parametri che furono determinanti per le nuove scelte, tra questi la certezza del “posto fisso” o comunque di un lavoro che garantisse il versamento dei contributi per gli anni necessari al raggiungimento della pensione. Inoltre, gli stipendi avevano un valore d’acquisto decisamente superiore a quello attuale, considerato l’innalzamento dei prezzi causato dal passaggio incontrollato all’euro. Per non parlare, poi, del fatto che non esistevano tutte le forme contrattuali attuali e il concetto di flessibilità che, ormai, va a braccetto con quello di precarietà, non era ancora stato formulato, per quello si dovrà aspettare la legge Biagi del 2003.

La riforma del 1995 non può più essere un punto di riferimento valido per le pensioni di domani a meno che, come si sta facendo, non si innalzi l’età pensionabile. L’assunto secondo il quale lavorando di più e versando più contributi si otterrà una pensione più alta sembra scontato, ma privo di valore se non si prendono in considerazione tre punti fondamentali che derivano dalla naturale evoluzione dei tempi e dell’economia del nostro Paese degli ultimi 15 anni: l’età in cui si andrà in pensione, la retribuzione e la totalizzazione.

Per avere una pensione dignitosa l’età dovrà essere innalzata di molto e pochi ne godranno a lungo, a meno che non avranno la possibilità di avere ottima salute anche in tarda età e di vivere ancora molti anni. Non si potrà andare in pensione, infatti, fino a 69 anni e 3 mesi (poco meno in caso di pensione anticipata e cioè con almeno 35 anni di contributi versati). Sarà, infatti, questa l'età di pensionamento di vecchiaia richiesta nel 2046, per effetto di tre misure: finestra mobile (la pensione decorre con ritardo di 12-18 mesi rispetto alla maturazione dei requisiti); aumento a 65 anni dell'età di vecchiaia per le donne; adeguamento automatico ogni tre anni dell'età pensionabile alla speranza di vita.

C’è poi la retribuzione corrente. Per consentirci di arrivare ad una pensione adeguata ai tempi e alle necessità dovrebbe essere di un certo tipo e non certo i mille euro mensili, o poco più, che guadagnano molti dipendenti privati o pubblici oggi.

Bisogna tener presente, infine, della totalizzazione che è il calcolo che deriverà dall’unione dei contributi versati negli anni da chi ha avuto diverse esperienze lavorative con diverse tipologie contrattuali e che non potrà garantire l’agognato 70% dell’ultima retribuzione, ma meno del 60%.

Ovviamente ogni situazione dovrà poi essere valutata di volta in volta tenendo conto soprattutto del ricorso alle pensioni private che per molti oggi restano l’unica fonte di previdenza certa per il futuro.