ITALIOPOLI. Oliviero Beha: il "clandestino meno noto in circolazione"

di Anna Laudati

Spettacolo teatrale Italiopoli al debutto il 7 ottobre scorso. Beha: "Gli italiani figli che spariscono nel deserto dei valori” (di Veronica Centamore)

beha__tiscali.it370468210.jpgItaliopoli è andato in scena fino all'11 ottobre al Teatro Ghione di Roma. Beha oltre che autore ne è anche protagonista, insieme a Selene Gandini e Moira Angelastro. Nella rappresentazione presenti  alcuni scritti di pasoliniana memoria di un'attualità sconvolgente nonostante trent'anni e più di distanza. Come a dire che... passa il tempo ma le cose non cambiano.

Mercoledì 7 ottobre, si apre il sipario e compare una gigantografia di Sandro Curzi e già parte un lungo applauso. Ricordiamo che è anche la sera in cui è giunta la notizia della bocciatura, in quanto considerato incostituzionale da parte dei giudici, del lodo Alfano, il quale, suggeriva una sorta di immunità parlamentare per le più alte cariche istituzionali. Beha:"Sono contento ma non perchè è stata presa una decisione contro Berlusconi lo sarei stato comunque, indipendentemente da lui, in quanto si trattava di una proposta incostituzionale". Lo spettacolo è improntato sulle metafore e sul vero significato delle parole, che a intervalli compaiono sullo sfondo di uno schermo. Beha affronta la dualità o differenza tra il ‘palazzo’ e il ‘residence’; i ‘non luoghi’ (gli autogrill posti per nessuno e per tutti) e i ‘superluoghi’(case e centri commerciali che sorgono intorno agli autogrill e agli aeroporti). Parla di ‘sapere’e di ‘appartenenza’; l’ ‘apparenza’ che è tutto, non inganna. Per apparire devono vedere e per vedere bisogna andare in tv. "L’Italia che vive della tv ormai come fine di comunicazione di massa e non come mezzo, un palcoscenico che tende a sostituire la realtà e a far ritenere una vita degna di essere vissuta solo se “pubblica”. E’ in una parola un’Italia che “Pasolini prefigurava tentando di esorcizzarla e che invece ci ha travolto".

Beha parla della mancanza del coraggio intellettuale della verità inconciliabile con la pratica politica in Italia. Il trionfo della visibilità nell'epoca dell'apparenza. Il litigio tra la morale e la politica. L'importanza di finire sui giornali, e si fa di tutto per farsi riconoscere. Si parla di potere e di tv e ovviamente di Berlusconi "che ha fatto della par conditio una personale riserva di caccia" (Beha). Continui rimandi a "Pasolini che per aver descritto la sua  l’Italia – sostiene Beha - venne infilato in una busta di cellophane quasi fosse il reperto di un delitto ed etichettato come decadente. Ebbene, ho intenzione di lacerare quella busta non tanto dal punto di vista del poeta assassinato quanto dell’oggetto della sua descrizione di allora. Cioè l’Italia, ma di oggi. Vista dalla mia finestra, infatti, dalla finestra di una persona che fa comunque un lavoro pubblico pur non essendo forse il “clandestino più noto in circolazione”, la realtà del mio paese mi sembra aver finalmente raggiunto e forse ormai superato Pasolini e le sue parole, aggiornandole quotidianamente in qualunque campo. Siamo in una palude, la palude di “Italiopoli”, lo scandalo di un Paese intiero". Ce n'è per tutti: Andreotti, Dell'Utri e le collisioni con la Mafia. Gli Italiani che sanno ma che si sono resi omertosi facendo finta di non sapere. Parla della necessità  di ricominciare a fare i nomi. E poi parla del caso Saviano, della prostituzione (della lingua e dell'anima), della raccomandazione.

"Gli italiani figli che spariscono nel deserto dei valori in un paese che vuole privatizzare pure l'acqua"(Beha). Poi c’è il problema della lingua. Il bisogno di rispettare la meteorologia climatica delle parole, la prostituzione che ormai non riguarda soltanto le escort. Oggi si parla di linguaggio pubblicitario. La lingua pubblicitaria discesa da e per la  tv. In questa epoca di nasi "rifatti" non soltanto intesi in senso estetico. Beha parla della classe dirigente in larga parte costituita da tale tipo di naso. "Vedete il caso di Lapo Elkann... almeno suo nonno era più discreto" (Beha). E come non parlare del servilismo intellettuale, un nome a caso: Bruno Vespa. Beha entra in scena con un teschio in mano rievocando l'Amleto Shakesperiano : "Ha normalizzato il delitto, è normale che un assassino stia in tv a parlare come se fosse in un processo" (Beha). Inoltre egli rimanda al presentatore televisivo brasiliano ritenuto il mandante di alcuni delitti per poterne discutere in trasmissione. Poi, ancora, si parla dell'infelicità dei figli, del loro mancato diritto a essere misurati. Reclama la mancanza di meritocrazia, la presenza dell'invidia sociale. L'assenza dei paramentri di paragone e le file dei giovani accodati per dire dei si di "contentino". Il famigerato precariato. Ma di contro c'è pure la categoria dei figli-di che vivono senza il bisogno di dimostrare.

L'importante diventa esserci senza la necessità di saper fare. Richiamo ai figli pasoliniani, l'ambiguità fatta a carne. Questi giovani di Pasolini come la nostra classe dirigente. E poi ancora: leggi ad personam, internet, il fenomeno Grillo, ecc... ecc... Conclusione: "Viviamo da anni in preda a un golpe bianco. E’ l’Italia del basso impero, della regressione culturale, della prostituzione accettata, promossa e valorizzata come forma di realismo cinico, della mercificazione più spinta.... L’Italia di Berlusconi, ma soprattutto della berlusconizzazione, in cui due schieramenti detti “poli” si affrontano con le armi tra i denti ma in un sentore di oggettiva complementarietà che rende sempre più spesso la politica quasi indistinguibile sbiadendone il senso" (Beha). Indipendentemente dall'orientamento politico dei presenti in sala e sul palco, si è assistito a una grande lezione di grazia e di eleganza intellettuale, sussurrata e non gridata, pur trattandosi di un disperato urlo della coscienza.