L’Africa vista da una ragazza italiana: Chiara in Kenya

di Sara Pulvirenti

Chiara la conosco ormai da anni ma ci siamo sempre e solo incontrate in vacanza, in Lombardia, nel cuore della Valcomonica: Montecampione 1800. Ventenne dai capelli ricci e castani ed un sorriso così bello da mettere di buon umore chiunque, è pronta per iniziare la sua carriera universitaria avendo già immagazzinato un’esperienza molto forte: nel 2010 ha trascorso venti giorni in Kenya come volontaria all’interno di un progetto di cooperazione internazionale. (Sara Pulvirenti)

chiara_con_bimbo Chiara parlaci un po’ di te, cosa fai nella vita?
Proprio quest’anno ho finito il liceo scientifico ed ora sto per iniziare l’università: mi aspettano i test per entrare a Psicologia. Se non dovessi entrare lì, il dubbio è tra le facoltà di filosofia e di matematica. Sì, lo so, sono due materie molto diverse tra loro ma ognuna a suo modo riesce a coinvolgermi. Se dovessi seguire solamente il mio istinto farei filosofia (sorride), ma se poi penso agli sbocchi lavorativi le cose cambiano. Per il resto, suono la chitarra e lo djembè e praticamente da sempre faccio del volontariato in alcune realtà nei dintorni di Turate. Con la scuola ho contribuito all’assistenza di un gruppo di ragazze madri: le abbiamo aiutate nella vita di tutti i giorni, facendo piccole commesse o più semplicemente facendole compagnia nel badare ai bambini.

Poi ad un certo punto hai deciso di partire per l’Africa, cosa ti ha spinto a prendere questa decisione?
E sì l’anno scorso c’è stato il grande salto: grazie al mio prof di religione, da sempre impegnato nel volontariato, ho potuto avvicinarmi ad un’altra realtà di accoglienza di Milano, La casa della carità. Lì sono ospitate persone in difficoltà di tutte le religioni e nazionalità, c’erano però numerosi immigrati provenienti dal Nord Africa. E così, giorno dopo giorno anche ascoltando i loro racconti, è nato in me il sogno di andare in Africa. Ammetto che all’inizio l’idea era quella di andare lì e fare qualcosa di grande ma poi mi sono resa conto che quello che si fa è davvero poco. Non cambi il mondo andando un mese in Africa!

Dove sei stata? E per quanto tempo sei rimasta?
Sono stata in Kenya per un mese, risiedendo in un villaggio a circa 30 Km da Nairobi. Sono partita grazie ad un progetto dell’associazione La Goccia di Senago che accoglie i ragazzi provenienti dalla strada o dalla baraccopoli di Kibera, la più grande del paese, offrendo loro per 5 anni, vitto alloggio e soprattutto la possibilità di studiare e magari imparare un mestiere. Il progetto, volto a favorire l’integrazione dei ragazzi a rischio criminalità, prevedeva la partecipazione di 30 ragazzi, ma in realtà ne erano ospitati quasi il doppio. La situazione locale infatti ti costringe a scegliere tra la qualità degli interventi che fai ed il numero di persone che riesci a contattare: basta pensare ad esempio che nel mio villaggio c’erano solo 2 operatori per 50 persone.

Qual’era la tua giornata tipo in Kenya?
In realtà ne esistevano di due tipi. Una che prevedeva la sveglia, la colazione ed una serie di attività da fare insieme ai ragazzi: dal fare la spesa ai giochi. La sera, invece, si organizzavano spettacoli realizzati o da noi volontari o direttamente dai ragazzi. Fare queste attività insieme era importante non solo per “socializzare” ma anche nella vita pratica: ad esempio per un bianco, andare in giro a fare la spesa da solo è sconsigliato da tutti. L’altra giornata tipo era invece riservata alla conoscenza di altri progetti simili al nostro presenti sul territorio: abbiamo visitato due baraccopoli ed un centro simile al nostro. Lì però erano ospitati alcolisti, sia ragazzi che adulti: nell’area infatti è usanza fare abuso di “changà”, un liquore che assomiglia a tutti gli effetti ad alcol puro. Abbiamo visto anche Nairobi, andando nel carcere minorile dove erano reclusi ragazzi tra gli 8 ed il 14 anni che si erano macchiati del reato di furto.

Facciamo invece un piccolo passo indietro, quali erano le emozioni che percepivi prima della partenza per l’Africa?
Se penso al periodo pre-partenza, rivedo la mia famiglia molto preoccupata ed io invece abbastanza tranquilla. Solo mentre preparavo la valigia, proprio gli ultimi giorni, ho avuto un po’ di timore ma la voglia di andare giù era così grande che non mi avrebbe fermato nessuno, neanche la paura! Mentre ero in Africa invece ero davvero felice di stare dove ero, anche perché i legami che pian piano ho stretto con i ragazzi si sono rilevati davvero profondi. Ovviamente però vedendo quelle realtà ti senti scossa. Ho sempre in mente un episodio: quando camminavamo nella baraccopoli tenevo sempre lo sguardo basso, da un lato quasi per non volere vedere quello che avevo intorno e dall’altro per non forzare la mano entrando in un mondo così diverso dal mio. In quei momenti mi sono sentita un’estranea: i bambini urlavano “musungo” (che in lingua locale significa bianco) e ti toccavano, proprio come se provenissi da un mondo completamente diverso dal loro. Lo sai però qual’è la cosa particolare?

Nonostante questo, non mi sono mai sentita rifiutata, anzi devo dire il contrario. Ogni volta ho percepito di essere vissuta come la “strana” ma al tempo stesso “affascinante”: c’è sempre stato da parte di tutti il desiderio di conoscermi. Come dire, mi sono resa conto che il mondo è diverso ma che i miei sogni sono gli stessi di un ragazzo africano. All’epoca ero convinta che all’università mi sarei iscritta a medicina: bè, i ragazzi africani che aspiravano a fare la stessa cosa erano davvero tanti. E’ un’esperienza forte, davvero! Che ti cambia. Senza dubbio.

Immagino quindi che rientrare in Italia non sia stato proprio così semplice.
Il rientro è stato pessimo. Davvero brutto perché io volevo tornare in Africa e quindi ero odiosa con tutti: non parlavo, ero scontrosa. Un sacco di persone che avevo intorno le ho allontanate perché ormai volevo solo rapporti ed emozioni vere. Ero totalmente disinteressata ai rapporti superficiali. Anche in famiglia, ripensandoci oggi, la situazione era la stessa: ero davvero una pessima compagnia. E credo che i motivi fossero principalmente due: da un lato il desiderio di tornare (abituata ormai a camminare per chilometri, per mesi anche a Milano non ho preso il bus o la metro e a tutt’oggi ancora non ho mai più ripreso il motorino), dall’altro l’esigenza di trovare un senso a quello che avevo visto. Tutt’oggi però questo significato profondo non l’ho trovato e più passa il tempo e più credo che sia impossibile trovarlo.

chiaraCosa intendi? Qual’era il senso che cercavi?
Vivendo quelle realtà la mente si affolla di domande: perché loro devono vivere così se io ho tutto e di più? Perché anche le Ong alcune volte speculano su situazioni così drammatiche? Ti faccio un esempio ancora più diretto: una volta, tornata in Italia, ho avuto una sensazione stranissima. Stavo andando a trovare una suora ed intorno a me sentivo solo i suoni della città, vedevo la strada asfaltata, le persone che non ti cagavano...insomma mi sono sentita un pò una merda. Un’altra cosa particolare, in Africa c’era semplicità, qui invece nell’aria si respirano i giudizi ed i commenti della gente su ogni cosa. Comunque tornando alla domanda che mi hai fatto prima, posso dirti che adesso la situazione è migliorata: ora sto bene tanto che ho deciso di non ritornare subito in Africa, nonostante avessi già organizzato tutto. Lo ribadisco sto bene, ma forse è troppo presto per risconvolgere di nuovo tutta la mia vita.

Nonostante la tua breve permanenza lontana dall’Italia, c’era qualcosa o qualcuno che ti mancava?
Mi mancava l’acqua: l’ultima settimana l’avevamo finita…compravamo quella da bere ma per lavarci usavamo le salviettine. Di certo mi mancava mia sorella, qualche amica ma in fin dei conti neanche tanto. Dell’Africa invece anche oggi mi mancano i paesaggi (gli stessi della “Mia Africa”), i tramonti (nonostante ne abbia visti pochi, stando sempre insieme ai ragazzi per le attività) e la musica. Di sicuro non rimpiango la puzza nauseabonda delle baraccopoli e quella per le strade

Credi che tornerai in Africa?
Sì, assolutamente. E’ tra i miei progetti anche se non immediati. Magari il prossimo anno partirò di nuovo, forse per spendere le mie energie in qualche altro progetto.

Come immagini il tuo futuro?
Io vorrei trovare un modo per aiutare le persone, in particolare quelle in Africa. Anche per questo volevo fare medicina: ma per quel lavoro mi manca la freddezza. Da qui il desiderio di curare l’individuo da un altro punto di vista e la decisione di iscrivermi a psicologia. Chissà se sarà la scelta giusta.

Chi si iscrive a Psicologia deve essere pronto a mettersi in discussione, sei pronta per questo?
Non lo so proprio. Ma mi attira molto la conoscenza della persona. Qualche volta ho anche pensato a costituire una realtà mia: l’idea è quella di creare un ponte tra l’Italia e l’Africa con l’obiettivo di fare conoscere a chi è interessato questa parte più profonda del nostro essere che spesso viene messa in disparte. E’ un sogno nel cassetto, per ora ancora ben chiuso.

Se guardi indietro, al giorno prima della partenza, che differenze vedi tra la Chiara di allora e quella di oggi?
C’è parecchia differenza, ma non mi ricordo proprio come ero prima della partenza. Rivedendomi sembro proprio un’altra persona: ora ho bisogno di verità e di fidarmi degli altri. In realtà però non so dirti se ora sono migliore, di sicuro ora ho la consapevolezza che il mondo non è solo quello che ci circonda più da vicino.

Prova a dirci tre parole per descrivere rispettivamente l’Africa e l’Italia?
Quelli per l’Africa mi vengono quasi naturalmente: sogno, semplicità e povertà materiale. Per l’Italia invece faccio un pò più fatica. La prima cosa che mi viene in mente è la povertà interiore delle persone, la seconda invece la realtà sopita (ormai da anni non si va né avanti né indietro, quasi come se mancasse il desiderio di creare qualcosa di nuovo, sia da parte degli adulti che dai giovani) ed infine la voglia di fare. Fortunatamente esiste ancora chi ha dei sogni e si impegna per realizzarli.

Infine tre termini per definirti.
No, dai Sara! Questa è difficile. Bè, di sicuro posso definirmi ingenua e sognatrice: tendo a vedere sempre del buono nelle cose. Spesso ho avuto delle delusioni per questo ed anche se adesso sono un pochino più consapevole sono pronta a riceverne della altre. Poi sono Altruista e egoista: mi rendo conto che facendo qualcosa per gli altri, in realtà gratifico me stessa. Infine, te ne sarai accorta (ride), sono critica: tendo a cercare di capire le persone, non le giudico subito, però alla fine lo faccio comunque.

Ci alziamo dalla nostra postazione di fortuna, ci salutiamo, pronte per rivederci il prossimo anno, nel solito posto magari con qualche altra avventura da condividere.{jcomments on}