Giovani. Tra scontri e luoghi comuni rischia di consumarsi il dramma di una generazione

di Marco Di Maro

di Francesco Enrico Gentile*

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Cosa sta accadendo ai giovani italiani, alle tante ragazze e ai tanti ragazzi scesi in piazza in queste ore per protestare contro il governo? È nata e cresciuta in questi anni una generazione violenta e nessuno se ne è accorto? Le scuole, le Università hanno allevato teppisti e vandali nell’indifferenza generale? Leggendo i commenti di questi giorni sui maggiori quotidiani, ascoltando le analisi di tanti opinionisti, giornalisti, politici sembrerebbe che, nelle pieghe di una generazione, serpeggi una violenza senza limiti.

Una generazione geneticamente incline allo sfasciare vetrine, a pestare poliziotti e finanzieri: una massa enorme di black block? Evidentemente l’analisi non è e non può essere così rude e superficiale. Premessa, di merito e di metodo: l’uso della violenza, qualsivoglia forma assuma e qualsivoglia motivazione la supporti non è mai giustificabile, né comprensibile .

Il dibattito che si è sviluppato in questi giorni sembra scivolare però esclusivamente sul binario legalitario, e legittimo, della repressione, come se il tutto potesse essere derubricato a mera questione di ordine pubblico. Tra propositi di arresti preventivi, improbabili paragoni con gli anni peggiori della nostra storia repubblicana e richiami ad approcci culturali che si pensava relegati nei sottoscala della coscienza nazionale, ci si è accorti solo ora che un pezzo di questa generazione è da mesi in piazza.

In tanti si sono affrettati a bollare il tutto come la sceneggiata di teppistelli sfaccendati, alla ricerca di una scusa per “far caciara”. Magari fosse così, e magari le violenze di Roma fossero solo il risultato di pulsioni nichiliste, perpetrate da neri incappucciati professionisti della violenza. Il dramma è che rischia di non essere più così e che quella violenza romana sia solo il preludio ad un ondata rabbiosa non prevista. Per troppo tempo , e si teme anche in futuro, i bisogni, le aspirazioni, i drammi, le frustrazioni di una generazione dai 15 ai 35 anni, circa 20.0000.000 di persone, quasi la metà della popolazione di questo paese, sono state dimenticate, o superficialmente affrontate, dalla politica, dal sindacato, dall’opinione pubblica.

Se un Paese non riesce a riconoscere, se non parzialmente o molto spesso utilizzando luoghi comuni, che si sta lentamente privando una generazione del suo futuro, il rischio che negli interstizi del tessuto sociale monti una reazione è elevato. Il Ministro della Gioventù ha usato l’altro giorno parole sagge quando, in riferimento agli scontri di Roma, ha detto “A parte pochi violenti, sono ragazzi che protestano per esprimere un disagio vero, di una generazione, la prima che fronteggia una realtà peggiore di quella dei padri”.

La realtà delle giovani generazioni è palesemente peggiore di quella dei loro padri,priva com’è di certezze di reddito, di riconoscimento del merito, di opportunità e libertà. Per la prima volta dal dopoguerra questa Nazione sta allevando una generazione non libera. Quando non sei libero di programmare il tuo futuro, quando il frutto dei tuoi studi è un contratto precario, quando un tuo collega di una nazione confinante guadagna 3 volte il tuo salario e fa il lavoro per cui ha studiato, qualcosa dentro ti si rompe.

La somma di tante rotture produce inevitabilmente rabbia. Eugenio Scalfari, molto tempo fa, parlò dell’Italia come uno specchio rotto dai frammenti dispersi, regalando ai suoi lettori una metafora magnifica dello stato della nostra nazione. I giovani rischiano di essere il frammento che si nasconde per coprire gli errori, calpestato e villipeso. La politica, la società civile, la stampa, il terzo settore devono raccogliere il grido d’allarme di questi ragazzi altrimenti accadrà che le risposte se le daranno da soli.

Quale volta, raramente, la risposta sarà violenta, sbagliata, inutile, altre volte, come ieri a Roma, creativa, sorridente, rumorosa ma pacifica. Finchè tanti ragazzi e ragazze, magari lanciando uno sberleffo a chi li definisce “potenziali assassini” occuperanno le piazze delle nostre città per rivendicare futuro, la nostra Repubblica avrà brandelli di speranza.

 

*Direttore dell'Osservatorio " Giovani che costruiscono il cambiamento"