OBAMA GOT OSAMA…

di Anna Laudati

di Gerarda Pinto e Anna Laudati

laudati_pintoPerché uccidere un uomo disarmato? Dai dettagli diffusi ieri sul blitz emerge che tutta l’operazione è durato 40 minuti, è stata condotta da 79 uomini con il supporto di ben 4 elicotteri. In primo momento si era detto che Osama Bin Laden era armato poi è arrivata la smentita, “però aveva un atteggiamento che ha lasciato temere una sua reazione pericolosa”; insomma 79 soldati super armati contro uno disarmato, che è stato ucciso solo perché ha opposto una strenua resistenza. Nessun processo, nessuna pietà: e pena di morte fu!

“La pena di morte diviene uno spettacolo per la maggior parte e un oggetto di compassione mista di sdegno per alcuni; ambidue questi sentimenti occupano più l'animo degli spettatori che non il salutare terrore che la legge pretende inspirare” così scriveva Cesare Beccaria nel “Dei delitti e delle pene”, capitolo XXVIII.

Il presidente americano Obama, fiero sentenzia: “Giustizia è fatta!” e la folla davanti la Casa Bianca lo acclama. Ancora una volta l’America detta la storia, esegue giustizia, onora i morti degli attentati, vendica una nazione colpita all’insaputa da aerei fuori rotta, vince la lotta al terrorismo, schiaccia le minacce del nemico, abatte il simbolo del male. Lo spettacolo è servito! Le piazze si affollano per festeggiare, i blog esplodono di commenti carichi di orgoglio per l’azione svolta, i social network diffondono l’entusiasmo, i giornali pubblicano le foto del “bottino di guerra”.

Questa morte è una promessa che è stata mantenuta, un impegno portato a termine; una scommessa vinta ma è soprattutto un’esposizione della debolezza del nemico, lo si mostra inerme morto per mano degli americani, che ne custodiscono il corpo e che assicurano rispetteranno i riti funebri islamici. Il volto tumefatto del leader deve essere esposto a tutti, perché tutti lo conosciamo, perché lui stesso si è presentato a noi nei videomessaggi mostrando quel volto fiero e sicuro. Deve essere sottoposto allo scherno della piazza, agli utenti di internet, alla beffa di chi ha temuto le sue azioni. Dopo anni, sui giornali in prima pagina il suo volto primeggia, il carnefice con la barba bianca e il viso pulito diventa vittima sporca, immobile e muta. A nessuno importa se poi quell’immagine non è reale, ma che rendi l’idea della morte e quindi della vittoria!

15.369 lettori de” La Repubblica” consigliano su Facebook la lettura della pagina che reca la “buona novella”.

Passano le ore, lo spettacolo si ritrae e lascia spazio alla compassione di chi ha pensato all’esecuzione cruda e spietata del leader di Al Qaeda. Il mondo occidentale civilizzato osanna la morte, risponde con violenza alla violenza, proprio lo stesso che è esportatore di democrazia, promotore di diritti, benefattore di costituzioni. Giunge lo sdegno nei volti degli europei che indignati guardano i loro alleati americani festeggiare la vittoria.

Si scrive: “Ucciso il promotore, non muore l’ideologia”. Si riflette sulle reazioni del mondo islamico alla morte di Osama Bin Laden. Una pena esemplare e non capitale sarebbe stata decisiva per affermare la vittoria sul terrorismo. Il prigioniero di guerra poteva essere il protagonista di un reality, forse sulla conversione o sul pentimento e la redenzione. Invece tutto si è concluso così. La “carta vincente” poteva dare utili maggiori.

Il punto di fuga della notizia si sposta su una prospettiva ribaltata che ci porta al significato della morte; al senso edificante della morte per mano di un uomo che è il simbolo delle famiglie delle vittime, di una nazione che ha investito sulla guerra; alla complessità di una cultura,quella islamica che non può essere sintetizzata nel nome del terrore; al paradosso del dialogo tra i due poli, che spinti da motivazioni diverse hanno eseguito violenza e diffuso morte; al rimorso e alla vendetta che contrastano con l’integrazione; alla diversità che si annienta solo sui metodi punitivi e esecutivi della morte.

Cambiano gli schieramenti, non più pro o contro l’islam ma pro o contro l’esecuzione, decisa e voluta da Obama. Il presidente americano può decretare la morte di un nemico come gli imperatori romani al termine delle lotte negli anfiteatri. Alla decisione “del pollice alzato” gli astanti si alzavano e incitavano l’esecutore. Assolutisti che non permettono assolutismi!

Ora, invece, lo sdegno, la morale, il buonsenso e il senso religioso del perdono dilagano sovrani. La brutalità del gesto è vana, forse il mondo non sarà migliore, ma continueranno le guerre perché il nemico vive ancora nel cuore di quelle montagne nel deserto.

Al- Qaida, che significa proprio base di addestramento, ha radici profonde che risalgono all’invasione dell’Unione Sovietica in Afghanistan nel 1979, quando proprio gli Stati Uniti li aiutarono in funzione anticomunista. Infatti, Robin Cook, ex ministro degli esteri britannico sostiene, invece che l’origine del nome di quest’associazione terroristica derivi da “data-base” del governo Usa contenenti i nomi dei mujaheddin arruolati dalla CIA per combattere contro i sovietici.

Si riaprono i libri di storia, si clicca sui motori di ricerca il nome del leader di Al Qaida per studiarne la storia, le relazioni con l’America e l’occidente, per elencare le sue azioni terroristiche. Si riapre la finestra su un mondo ritenuto troppo lontano, forse proprio a causa delle sue leggi che non prevedono pene con funzione retributiva, riabilitativa e riparitiva ma solo esecuzioni capitali per chi infrange la legge, che coordina e scandisce la vita civile e religiosa degli islamici.

Infine s’insinua il dubbio, lo scetticismo, si mette in discussione la veridicità della notizia, si parla di montaggi, di complotto, di trovata mediatica. Arriva la smentita della tv pachistana e l’ipotesi di un ritocco a una delle foto più famose.

La parabola dell’opinione pubblica in maniera semplicistica può essere delineata così: la notizia fa scalpore, sconvolge, destabilizza perché erano lontane dalla mente le immagini dell’11 Settembre (quelle di più forte impatto visivo); unisce nel segno della giustizia; divide nel segno della religione e della morale; insospettisce nel segno della diffidenza verso una notizia che è davvero emblematica per l’America e il suo Presidente. Oggi si discute se sia il caso di pubblicarle le vere immagini dell’uomo del terrore, dopo essere stato ucciso, perché troppo cruente per farle vedere a tutti. Noi e non solo noi, ci chiediamo perché uccidere un uomo che era disarmato?