Sesso in macchina “fuorilegge”? Ne parlano i giovani

di Monica Scotti

Dura lex sed lex (dal latino "La legge è dura, ma è [sempre] legge"), lo si sente ripetere spesso nelle aule di tribunale, ma di recente, dopo il giro di vite su chi si rende colpevole di atti osceni in luogo pubblico facendo sesso in macchina, la discussione si è spostata tra i ragazzi, in rete. (Monica Scotti)

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A dare il via al dibattito è stata la sentenza numero 19189 della Corte di Cassazione che, ispirandosi all’articolo del codice penale vigente in materia (art. 527), ha condannato due giovani di Arezzo a ben tre anni di reclusione per essere stati sorpresi in intimità nella loro auto parcheggiata a notte fonda nel parcheggio di una discoteca.

La posizione dei giudici della Corte Suprema è chiara: non importa quanto isolato o poco frequentato sia il posto, né che l’auto fosse di proprietà di uno dei due imputati, a meno che non si provveda a oscurare completamente i vetri, la vista di ciò che avviene all’interno dell’abitacolo (nudità, etc.) offende la morale di chi guarda.

I fatti risalgono al 2008, ma la sentenza è tornata alla ribalta proprio grazie all’interesse che ha suscitato tra i ragazzi. Sul portale Studenti.it, per esempio, è stato lanciato un sondaggio tra gli utenti per stabilire quanti di loro si ritrovino a infrangere la legge lasciandosi andare all’amore su strada.

I risultati parlano da soli: su un campione di 1.270 votanti tra gli iscritti alla community, il 76% ha affermato di praticare sesso in macchina con regolarità (chi per piacere, chi per necessità), Il 14% ha ammesso di non gradirlo perché scomodo, mentre appena il 10% ha dichiarato di trovarlo immorale.

Tirando le somme, si può realisticamente affermare che quasi 8 ragazzi su 10 fanno della propria auto o di quella del partner un'alcova.

Non a caso sui social network si sprecano gruppi che inneggiano più o meno romanticamente al sesso in macchina (sulla piattaforma italiana di facebook se ne trovano almeno un paio da quasi 3.000 iscritti ciascuno) lanciando anche scherzosi sondaggi per esempio sulla vettura più scomoda in cui dare sfogo all’amore su ruote e per la cronaca la vetta della classifica sembra spettare alla compatta (forse troppo) smart.

Logico che una simile sentenza abbia scatenato i commenti più disparati.

In molti trovano assurdo punire con tanta severità un atto percepito al massimo come “peccato veniale”, magari dettato dalla necessità. “Ma che pretendono? Chi non ha una casa dove andare o non può permettersi di pagare 30 euro alla volta per una stanza dovrebbe chiudersi in convento?” Si sprecano interventi simili nei forum di discussione.

“Dicono che è una linea pensata per colpire la prostituzione su strada, ma che c’entriamo noi ragazzi con la prostituzione? I ricchi vanno con le escort e noi in galera?” Risponde così uno degli internauti al commento di un coetaneo che appoggia la linea severa per ragioni di pubblica “decenza”. Arriva infine l’ultima stoccata in un dibattito che sembra non avere mai fine “Ok, difendiamo la morale pubblica. Ma è morale che due fidanzati rischino di finire in carcere per 3 anni, mentre chi commette reati come lo stupro a conti fatti rischia soltanto qualche mese di cella prima di poter avere i domiciliari [1]? Si tutelano così le donne?”. In fondo neppure sui social network sembra esserci una risposta.



[1] L’Art. 609-bis del 2001 del codice penale, che integra la legge sullo stupro n. 66 del 1996 (anno in cui dopo interminabili dibattiti finalmente la violenza carnale fu riconosciuta come reato contro persona e non più contro la morale), prevede dai 5 ai 10 anni di reclusione per chi si rende colpevole di stupro. Ma prendendo in esame l’ipotetico caso di un violentatore incensurato ancora giovane cui spetterebbero l’applicazione del minimo della pena per mancanza di recidiva, più attenuanti generiche per la giovane età, più eventuali sconti per buona condotta (tre mesi ogni anno di reclusione), ci si rende conto che l’imputato, per quanto riconosciuto colpevole, ha buone possibilità di vedere la condanna non eseguita o di accedere a misure alternative alla detenzione come i domiciliari o la libertà condizionata dopo soli tre mesi di carcere.