Via le mani dagli occhi e dalle orecchie: ecco la situazione in Darfur

di Anna Laudati

400.000 tra uomini donne e bambini uccisi, 3.200 villaggi distrutti e circa 2.800.000 persone sfollate. Questa è la situazione che vive il Darfur nell'indifferenza dei media. "Italians for Darfur", dal 2006, si occupa di diffondere immagini e testimonianze per far conoscere lo status quo e per mobilitare l'opinione pubblica. (Gerarda Pinto)

darfur

Dal 2003 il Darfur, una regione dell’ovest del Sudan, Paese dell’Africa centro-orientale, è dilaniato da una sanguina guerra civile, che vede contrapposte la locale maggioranza nera della popolazione, composta di tribù sedentarie, e la minoranza nomade originaria della Penisola arabica, che costituisce la maggioranza nel resto del Sudan. Quest’ultima è stata appoggiata dal governo centrale, a stragrande maggioranza araba, a sua volta accusato di tollerare le feroci scorribande degli Janjawid, demoni a cavallo. 

L’attenzione mediatica rivolta ai conflitti interni è minima rispetto a quella che merita una guerra che è responsabile di 400.000 persone uccise, di 3.200 villaggi distrutti, di 2.800.000 persone sfollate. Per ”togliere le mani dagli occhi e dalle orecchie”, l’associazione “Italians for Darfur, dal 2006 si occupa di diffondere immagini e testimonianze, al fine di promuovere la difesa dei diritti umani, violati, cercando di mobilitare l’opinione pubblica.  

Una lettera scritta da Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur”, durante il suo ultimo viaggio in Sudan, ci permette di capire davvero cosa sta succedendo, senza lasciare spazio all’immaginazione. Il viaggio è stato duro e pericolo, ma le ha permesso di raccogliere le testimonianze di alcuni sopravvissuti agli ultimi attacchi delle forze militari del governo. I ricordi impressi nella mente di chi è scampato all’inferno sono terribili: donne violentate e mutilate prima di essere uccise, ragazzini bruciati vivi nelle scuole, interi villaggi distrutti.

Antonella scrive che a segnarla questa volta non è stata la fame scavata sul volto della popolazione ma “le migliaia di persone che pelle e ossa vagavano per i campi profughi con gli occhi sbarrati dal panico o le testimonianze delle ragazze violentate che le hanno raccontato il terrore degli stupri…l'assenza di ogni barlume di speranza negli sguardi, la delusione trasformata in rassegnazione di non poter cambiare uno ‘status’ incancrenito, che ti porta a perdere dignità e futuro”. 

Persone che hanno la sola colpa di esistere, costrette a “un’esistenza ai limiti della sopravvivenza e del decoro” che portano sulla pelle il marchio della guerra, privati della propria famiglia e di una casa, violati nel profondo. Cosa si può provare dinanzi a uno scenario simile? Com’è la “vita”di un bambino che non conosce la pace e forse non la “incontrerà” mai? La mia è rabbia, ora capisco perché Primo Levi per denunciare un altro sterminio, quello degli ebrei, si chiedeva”Se questo è un uomo”, privato di tutto ciò che lo rende tale; soprattutto si rivolgeva a chi viveva sicuro nella tiepida casa, ai tanti che se ne lavano le mani, considerandolo un problema d’altri.

La gente, in Darfur, conosce e subisce solo violenza, le donne portano in grembo i frutti dello stupro, i bambini non corrono dietro un pallone ma scappano solo per salvarsi la vita. Se a questo aggiungiamo la carenza di acqua, viveri, assistenza…è l’Inferno, ma non quello affascinante descritto da Dante, non ci sono colpevoli che devono scontare una pena. Ci sono innocenti, che forse sperano in un paradiso dopo la morte, che presto giungerà, ma noi abbiamo il dovere di restituire e ricostruire un paradiso su questa terra!