Inno di Mameli all’assemblea regionale lombarda. La Lega decide di uscire dall’aula

di Francesca Antonella Langella

Gli esponenti leghisti del consiglio regionale della Lombardia hanno deciso di non partecipare all’esecuzione dell’Inno d’Italia, restando fuori dall’aula.  Il presidente del consiglio Boni: “sono rimasto solo per il mio ruolo istituzionale”. (Francesca Antonella Langella)

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Meglio un cappuccio e brioche che subirsi l’Inno di Mameli! O almeno è quello che avranno pensato i rappresentanti della Lega Nord del consiglio regionale Lombardo. Le note dell’inno, infatti, hanno accompagnato l’apertura dell’assemblea tenutasi stamane, come imposto da una legge regionale in onore dei 150 anni dall’Unità d’Italia; i consiglieri regionali leghisti, dal canto loro, hanno deciso di entrare in aula solo alla fine dell’Inno, e di restare al bar per fare colazione.

L’unico rappresentante della Lega rimasto in sede è stato il presidente del consiglio regionale Boni, braccia conserte e testa bassa, il quale ha assicurato, poco dopo in conferenza stampa: “Idealmente ero fuori col mio gruppo, ma rivesto un ruolo istituzionale che non può permettermi di stare fuori dalle istituzioni. Non volevo trascinare il consiglio in una diatriba politica”.

Non sono mancate proteste e polemiche da parte degli altri rappresentanti del consiglio, considerando il comportamento dei membri del Carroccio come un “vero e proprio schiaffo al Paese”, come ha affermato Leoluca Orlando, portavoce dell’Italia dei Valori. Attacchi anche da altri esponenti politici: “I leghisti eletti in Lombardia che oggi hanno preferito uscire dall'aula del consiglio del Pirellone – asserisce Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati del PD - dovrebbero ricordare che il federalismo e il regionalismo non sono un altro Stato, ma tecniche di governo per avvicinare le istituzioni ai cittadini. Mentre il Presidente della Repubblica ci ricorda che nella nostra Costituzione coesistono autonomia e indivisibilità, assistiamo ancora una volta a una pagliacciata sempre e soltanto in nome della visibilità”.

Difatti, tutto questo è accaduto proprio nel giorno in cui il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha ribadito l’importanza dell’unità d’Italia e della Costituzione: “La nascita dello Stato ha consentito al nostro Paese di compiere un decisivo avanzamento storico, di consolidare l'amore per la Patria, di porre fine a una fatale frammentazione. […]  Nella Costituzione l'identità storica e culturale della Nazione convive con il riconoscimento e lo sviluppo in senso federalistico delle autonomie che la fanno più ricca e più viva, riaffermando l'unità e indivisibilità della Repubblica”.

“Il senso d’appartenenza all’Italia non avviene per imposizione”, così Boni risponde alle accuse. D’altronde non possiamo dargli torto. L’amore per un Paese, il sentimento di appartenenza e di rispetto è qualcosa di innato, fa parte della propria coscienza culturale e ideale e nessuno può imporlo.

C’è da dire che è proprio questa Italia così tanto disdegnata e derisa che garantisce la libera possibilità di scegliere; come ha detto Roberto Benigni durante il suo show a Sanremo lo scorso 17 febbraio: “L’Italia è talmente bella, che permette anche che qualcuno dica “ no, non la festeggio!” pensate che libertà che da’!”