Lampedusa al collasso. 5mila magrebini: un carico insostenibile

di Anna Laudati

Durante la nottata altri 450 immigrati sono approdati a Lampedusa in cinque diversi sbarchi. Nelle ultime 24 ore sono stati tredici gli sbarchi per complessivi 1.470 immigrati. La situazione a Lampedusa resta tesa. Sono 4.789 i migranti ammassati sull'isola, a fronte di 5.000 abitanti e appena 850 posti nel centro d’accoglienza. Ieri i lampedusani si sono mobilitati per fermare le operazioni di sbarco del materiale per la realizzazione della tendopoli. (Gerarda Pinto)

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Lampedusa è al collasso. Senza la macchina del tempo possiamo tornare all’età medievale, quando la popolazione con i pochi strumenti a disposizione doveva difendersi dagli “attacchi” stranieri. Tutti schierati sul porto ad attendere l’invasore, pronti a rimandarlo indietro. Difendere con tutte le proprie forze la propria casa e la propria terra, abbandonata, stuprata, deturpata, dimenticata.

L’esasperazione degli abitanti è al limite. Una situazione di precarietà che va avanti da anni, ma che in seguito alle ultime vicende si è aggravata. Il “limes”che divide la pace dalla guerra è il Mar Meditteraneo, dove traghetta la disperazione delle persone in fuga dall’Egitto e dalla Libia. Al “mare nostrum” si affidano la speranza degli immigrati e la sicurezza degli isolani di Lampedusa.

Un mare che diventa l’unica rotta per cambiare vita, per sfuggire alle persecuzioni e alla fame, che si trasforma in tomba per molti, che “culla” i più piccoli che non ricorderanno nulla del viaggio estenuante, teatro di violenze e soprusi. Si Fugge dalla propria terra per approdare in un porto sicuro.

Gli immigrati dopo lunghe ore in balia del mare, dopo ricatti subiti per trovare un posto su quelle imbarcazioni, appena vedono la terra ferma non trovano un porto sicuro, ma un porto occupato da chi cerca di impedire l’attracco, con le uniche armi a disposizioni: la propria presenza, per ricordare che Lampedusa non è un porto di smistamento persone, ma un’isola che viveva grazie al turismo, grazie proprio a quel mare che ora invece teme.

Così la gente in coro grida: ”Andate via!”. Dai barconi in cerca di un piccolo pezzo di porto, parte un applauso ironico, sintomo dell’indignazione più profonda di chi dopo giorni trascorsi tra le onde sperava solo in un po’ d’acqua dolce e un pasto caldo. Difendere tutto quello che si ha, sperare di ricostruire tutto quello che si è lasciato alle spalle, di là del mare.

Ma i lampedusani ricordano che l’isola appartiene a loro, ha ancora un’identità che va difesa, non è la terra di nessuno, non è un campo profughi, non è una grande tendopoli, non è solo il porto più vicino dove attraccare.

Nel 2011 come nel Medioevo, la gente deve difendere il proprio patrimonio scendendo in assetto sul porto. L’assenza delle Istituzioni che non assolvono i propri compiti, costringe gli isolani a difendersi da sé. Una protesta che genera solo stereotipi. Gli isolani saranno etichettati come “razzisti” e gli immigrati come “invasori”.

Dove sono le Associazioni che devono tutelare i diritti umani? Dove sono le nostre Istituzioni che devono difendere e tutelare gli abitanti dell’isola?

La situazione si trascinerà ancora e l’astio tra i nuovi arrivati e i vecchi abitanti crescerà sempre di più? Non si tratta di negare o venire meno all’antico dovere romano, poi diventato italiano, dell’“hospitalitas”, il quale riconosceva la cessione di terra agli stranieri e ha permesso la totale integrazione tra popolazione latina e barbarica. Non c’è più nemmeno un pezzo d’isola che può essere concesso perché è sovraffollata.

Quanto ancora continueremo a sentire gli applausi sui barconi e le grida della popolazione? Quando s'interverrà alla radice del problema? E' arrivata l'ora di smetterla di tamponare e arginare il problema, “parcheggiando tutti “a Lampedusa!

(foto: ilmessagero.it)