Cenerentole italiane. Secondo l’OCSE le donne dello stivale, si confermano regine della casa

di Ornella Esposito

Un recentissimo rapporto dell’ Organisation for Economic Co-operation and Development (OCSE), dimostra che le donne italiane dedicano al cosiddetto lavoro non remunerato 3 ore e 40 minuti in più rispetto ai loro partners. (Ornella Esposito)

faccende-domestiche Se per gli uomini potrebbe rappresentare una novità, per le donne i dati forniti dal rapporto dell’Ocse, che le vede battere i loro partners nella quantità di ore dedicate ai carichi familiari, è solo una conferma. Autentiche cenerentole, le donne italiane, per le quali le giornate lavorative non si esauriscono uscendo dall’ufficio, anzi, si potrebbe dire che iniziano tra cambi di pannolini, compiti scolastici dei figli, pulizie domestiche e preparazione anche di una buona cena.

La loro unica consolazione è che sono in buona compagnia, precedute solo dalle “colleghe” messicane, turche e portoghesi. Secondo il rapporto, nei paesi Ocse, le donne dedicano in media al lavoro non remunerato, due ore e mezza in più dei loro compagni con differenze significative nei paesi nordici dove la disparità di genere si riduce sensibilmente attestandosi sui 57 minuti. Ma per le nostre donne una buona notizia c’è: godono della pensione più a lungo (è stato calcolato circa 27 anni) perché ne usufruiscono prima e la loro aspettativa di vita è più alta, anche se il reddito non è elevato.

Nonostante si sprechino i bei discorsi sulla parità dei sessi, la non discriminazione (in alcuni casi vera e propria segregazione) delle donne, e si adottino da più parti inglesismi quali mainstreaming di genere, i dati dell’Ocse sono impietosi e fotografano una paese che ha ancora molta strada da fare verso la sostanziale parità tra i sessi. I fattori dello sbilanciamento relativo ai rapporti di genere, sono molteplici. Anzitutto la famiglia, nel nostro paese fortemente cattolico, essa rappresenta un valore morale di cruciale importanza, e di fatto svolge un lavoro di acccudimento fondamentale, soprattutto per lo Stato che, grazie all’efficienza della rete primaria, risparmia in termini di erogazione di prestazioni e servizi.

In secondo luogo c’è l’aspetto culturale: le donne si sentono ancora l’angelo del focolare ed i loro partners le rinforzano a sentirsi tali, soprattutto oggigiorno che i bamboccioni escono dalla famiglia a quarant’anni senza aver mai sperimentato forma alcuna di responsabilità familiare. In terzo luogo, mancano servizi di supporto alla famiglia, soprattutto al sud, dove l’assenza di asili nido, strutture e servizi per anziani e disabili, è drammatica e di fatto costringe le donne al doppio lavoro e ,spesso, ad accantonare la carriera (aspirazione legittima anche per una donna) con un conseguente sentimento di frustrazione e infelicità.

C’è bisogno, è proprio il caso di dirlo, di rimboccarsi le maniche per ridurre lo spaventoso gap di genere, ulteriore triste primato del nostro stivale, con interventi sul fronte culturale e del welfare. Per il momento la nuova finanziaria ha azzerato tutti i fondi destinati ai servizi per la prima infanzia, e questa scelta rende po’ più difficile pensare che l’Italia possa, nel futuro, occupare una posizione diversa nel prossimo rapporto Ocse.