No all'aborto... ma aumentano le donne che non riconoscono i bambini all'atto della nascita

di Sara Pulvirenti

Sono sempre di più le mamme che partoriscono ma non riconoscono il loro bambino: soltanto a Roma nel 2010 i casi sono stati 60, il 20% in più dell’anno precedente. Come interpretare questo dato? Sicuramente è un dato positivo: si tratta di 60 bambini nati e dati in adozione a qualche famiglia che li desidera. Ma a dispetto di questa forza che la vita porta con sé, le storie di queste mamme a volte possono essere davvero crudeli. (Sara Pulvirenti)

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Dietro ogni donna che decide di portare avanti una gravidanza per poi non riconoscere il bambino, si celano storie di abbandoni, di violenze, di ignoranza e di povertà. Ogni anno sono circa 400 i bambini che non vengono riconosciuti (un tempo si chiamavano “nati indesiderati”): le mamme (di qualsiasi nazionalità, anche senza permesso di soggiorno) possono prendersi tre mesi di tempo per decidere se riconoscere il figlio o meno. Dopo questo termine i bambini sono dichiarati adottabili. Ovviamente per i bimbi sani questa strada è abbastanza veloce, ma per coloro che magari hanno un handicap non c’è praticamente altra via che l’istituto.

Questo mondo non trova spesso una giusta rappresentazione nei media e spesso neanche nei reparti di maternità: le madri infatti sono tutelate dal silenzio e dall’anonimato. Ma essere anonimi non significa non esistere. Ed è paradossale che questo avvenga proprio in silenzio, in un ambiente dove di solito le vocine dei piccolini riempiono i corridoi.

Melita Cavallo, presidente del Tribunale dei minori di Roma, dipinge una realtà dolorosa e disperata “Un mese fa ho ricevuto una lettera in una busta chiusa. Era indirizzata ad un neonato ancora senza nome e senza identità. L´aveva lasciata sua madre quella busta, dopo averlo partorito e affidato all’ospedale. Adesso la busta la custodiremo noi, sigillata nel fascicolo di quel bambino che presto sarà dato in adozione”. 

Le reazioni dopo il parto anonimo sono le più disparate: c’è chi non vuole neanche vedere il bambino, chi invece non vorrebbe mai staccarsi da lui e chi invece sembra fare questo gesto con estrema naturalezza. Ma come è possibile affrontare un fenomeno così doloroso che da un lato garantisce la vita ma spesso dall’altro compromette quello delle madri? Le associazioni di aiuto per le neo-mamme come Salvabebè, la Caritas, i Movimenti per la Vita, la Comunità di Sant’Egido sono solo alcuni dei tanti esempi presenti su tutto il territorio nazionale.

Sono proprio queste realtà a denunciare un’emergenza infanzia in Italia: sono circa due milioni i bambini poveri a rischio di fame e malattie, e di questi settecento mila hanno tra 0 e 3 anni. (dati Istat). Un´emergenza così grande che in poco più di dieci anni le antiche ruote degli esposti, “rinate” a metà degli anni Novanta sotto forma di modernissime culle termiche collegate ai sensori dei Pronto Soccorso, sono triplicate accanto ai grandi poli ospedalieri e ai centri maternità.

Ma chi sono le mamme segrete? Il 70% di loro è composto da donne immigrate (molte le badanti messe incinta e poi cacciate dal posto di lavoro), il 30% di italiane invece è composto da giovanissime. L’82% del totale è al primo parto e a livello territoriale la maggior parte dei parti anonimi avviene nel centro Italia.

Ascoltando i racconti degli assistenti sociali, i numeri assumono un altro significato e sottolineano ancora meglio la gravità di questa situazione: c’è la storia di una ragazza sedicenne sieropositiva che pur di salvare la figlia ha deciso di lasciarla n una culla termica, e ancora quella di un’altra donna che pur di non perdere il lavoro di colf ha partorito in segreto. Suo figlio era prematuro e cerebroleso. Straordinariamente dopo qualche mese è stato adottato.

E’ proprio vero che la vita riesce a vincere su tutto!