Occupazione giovanile: i modelli europei che funzionano

di Sara Pulvirenti

L'Istat anche questa volta parla chiaro: il nostro 'bel paese' insieme a Malta e Ungheria, è il fanalino di coda dell'europa riguardo al tasso di occupazione. SCMagazine partendo dall’osservazione di tutti i dati ha indagato, invece che lanciare allarmi sulla situazione critica dell'Italia, sulle diverse caratteristiche di quegli stati che permettono una reale flessibilità del lavoro, con tassi di disoccupazione davvero esigui. (Sara Pulvirenti)

disoccupato L’Istat, nel suo ultimo rapporto sulla disoccupazione, ha lanciato l’allarme: il 29,6 % dei ragazzi italiani di età compresa tra 15 e 24 anni non ha un’occupazione (il dato più alto dal 2004). Ed al meridione la situazione è ancora più critica: il 46,1 % delle ragazze del sud è escluso dal mercato del lavoro. A prescindere dall’età, complessivamente in Italia ci sono circa 2milioni di disoccupati pari all’8,6 % della forza lavoro (al di sotto della media europea, pari al 9,9%). Ma la situazione in Europa qual è? Il numero complessivo dei disoccupati europei è pari a circa 22 milioni (Fonte: Eurostat).

Guardando però il lato della medaglia che funziona, le nazioni con il maggiore tasso di occupazione sono la Svezia (78,7%), l’Olanda (76,8%), la Danimarca (76,1%), Cipro (75,4%), la Germania e l’Austria (74,9%). Il fanalino di coda spetta, invece, rispettivamente a Malta, Ungheria e proprio all’Italia (61,1%). E’ partendo dall’osservazione di questi dati che siamo andati ad indagare sulle diverse caratteristiche di quegli stati che permettono una reale flessibilità del lavoro, con tassi di disoccupazione davvero esigui.

In Svezia, dove la media settimanale di lavoro è pari a 40 ore, le politiche del lavoro sono basate sul principio di attivazione, e cioè su una serie di dinamiche volte a fare incontrare la domanda e l’offerta. Questo ruolo è affidato prevalentemente al servizio pubblico di collocamento (SPC) che, insieme ad altri soggetti, pubblici e privati si occupa anche di programmi di formazione specifici. Il cosiddetto modello svedese può contare però su un punto di forza quasi unico: la stretta collaborazione tra aziende e sindacati, basti pensare che per le imprese sotto i 25 dipendenti è prevista una rappresentanza dei lavoratori addirittura in cda. Il peso dei sindacati è comunque notevole: i tesserati sono ben il 75% della forza lavoro. Parallelamente a questo aspetto, è attiva una fitta rete dedicata alla formazione dei disoccupati. L’indennità di disoccupazione, intesa non come mero strumento assistenziale ma come possibilità concreta per riqualificarsi, è garantita tramite le casse di disoccupazione su base reddituale, gli esclusi sottoscrivono annualmente delle assicurazioni specifiche.

L’occupazione femminile è quasi pari a quella maschile (la differenza è di 6 punti percentuali, ben lontana comunque dalla parità assoluta dell’Estonia, della Lituania e della Lettonia, le repubbliche baltiche in questo sono il modello più funzionante in Europa), grazie ad una politica per la famiglia che parte dal presupposto che entrambi i genitori siano impiegati. Oltre ai numerosi asili aziendali, le mamme svedesi possono contare su tanti altri strumenti di sostegno: congedi straordinari, indennità e permessi presi in contemporanea con i padri. 

La situazione in Danimarca è simile ed altrettanto particolare, tanto da spingere il periodico inglese The Economist a coniare il termine “Flexicurity”, indicando così la notevole flessibilità del mercato del lavoro ed al tempo stesso i numerosi interventi di politica attiva del lavoro. Un equilibrio quasi perfetto tra diritti ed obblighi del lavoratore e del disoccupato, oltre che tra occupati uomini e donne: la differenza è anche in questo caso del 6 %. Le tasse sono molto alte (tra le più alte in Europa) ma permettono poi di assistere al meglio il lavoratore al momento della perdita dell’occupazione, garantendo in seguito salari decisamente più alti di quelli italiani. La media del lavoro settimanale è di circa 38 ore. 

L’unico paese dell’area del Mediterraneo, che figura tra i virtuosi del mercato del lavoro europeo, è Cipro. La piccola isola, ponte naturale tra occidente e medio oriente, fonda buona parte della sua economia sui servizi: la percentuale delle attività che si occupano di servizi bancari, contabili, turistici è pari al 70 % dell’intera economia nazionale. E’ proprio questa la caratteristica saliente: Cipro fonda la sua occupazione sull’imprenditoria. Con un’aliquota unica al 10 %, Cipro attrae non solo investimenti nazionali ma anche e soprattutto internazionali.

Per questo è stata scritta una legge ad hoc, proprio per regolamentare il lavoro degli stranieri: le domande per il permesso di lavoro vengono accolte solo nel caso in cui la qualifica o professionalità dell’applicante siano in un campo nel quale ci sia un’effettiva scarsità di personale tra la popolazione locale. Per quanto riguarda le pari opportunità le percentuali si avvinano invece molto di più ad i numeri italiani: le donne impiegate sono il 68,5 %, contro l’82,5 % degli uomini. La media del lavoro settimanale è di circa 41 ore.

Esistono quindi diversi modelli a cui attingere per provare a trovare una soluzione alla disoccupazione giovanile italiana: certo le cose si complicano se si considera che in Italia gli occupati tra 55 e 64 anni sono pari al 36,6 % della forza lavoro, contro il 70,5% della Svezia. Che peso hanno avuto ed hanno ancora le pensioni anticipate (cfr. baby pensioni) sul livello di “immobilità” del mercato del lavoro italiano? Quanti pensionati svolgono in realtà lavori al nero o magari come consulenti esterni? Quante imprese utilizzano strumenti formativi come stage e tirocini solo come modalità per cercare di pagare meno tasse? E quanto la pressione fiscale incide su queste scelte? Domande che da anni aspettano una risposta e che nel frattempo vedono penalizzati proprio i più giovani.