Sentenza storica per la camorra: Setola condannato a 29 anni

di Stefania Galizia

Arriva per Giuseppe Setola, detto, O’ cecato, una condanna a 29 anni di reclusione per reati che vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso, all’estorsione, alla detenzione illegale di armi, al tentato omicidio, oltre ad  un risarcimento economico di 50 mila euro, più altre settemila di spese. (Stefania Galizia)

Setola

Piuttosto  fitto il curriculum vitae di uno dei boss di camorra più sanguinari del gruppo degli scissionisti del Clan dei Casalesi, già condannato a 3 ergastoli:  il primo per l’omicidio di Genovese Pagliuca nel 1995 che è divenuto cosa giudicata ma per il quale è stato presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo; gli altri due, comminati con condanna di primo grado, l’uno  per l’omicidio dell’imprenditore Michele Orsi, ucciso nel 2008 perché aveva cominciato a collaborare con la giustizia, e l’altro per la famigerata strage di Castelvolturno, avvenuta il 18 settembre 2008, nella quale persero la vita Antonio Celiento, un pregiudicato affiliato ai casalesi titolare di una sala da giochi, e sei immigrati vittime innocenti della strage: Kwame Antwi Julius Francis, Affun Yeboa Eric, Christopher Adams del Ghana, El Hadji Ababa e Samuel Kwako del Togo; Jeemes Alex della Liberia.

L’ipotesi che fu formulata dallo scrittore e studioso delle dinamiche interne alla camorra Roberto Saviano, nonché autore del best seller “Gomorra”, e da Franco Roberti, Procuratore aggiunto e capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, spinse a ritenere che dietro la strage si sarebbe nascosta la volontà di fare una specie di pulizia etnica della zona, cacciando completamente gli immigrati non propensi a scendere a patti  e che, non essendo controllabili, avrebbero ostacolato i loro “affari” (tra cui, si è letto sui giornali dell’epoca, il tentativo di pilotare investimenti volti alla riqualificazione del litorale domizio).

I Carabinieri riescono ad arrestarlo il 14 gennaio 2009 a Campozillone, una frazione di Mignano Monte Lungo (CE), dopo 9 mesi circa di latitanza,  mentre cerca ancora una volta di scappare sui tetti. Nella Primavera del 2008 era evaso da una clinica di Pavia, dove era stato ricoverato in seguito alla concessione degli arresti domiciliari per via di un grave problema agli occhi (da cui il soprannome di O’ cecato) che alcuni referti medici (poi messi in discussione) accertavano.

Ma tornando alla cronaca più recente, insieme a lui, la prima sezione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta da Raffaello Magi, ha condannato nel processo in primo grado e con le stesse accuse, altri 34 imputati, tutti appartenenti alla fazione violenta del clan di camorra che detta legge nel casertano.

In aula, quando è stata letta la sentenza, oltre ai pm di udienza Catello Maresca e Cesare Sirignano, erano presenti il procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho e il pool di sostituti che indagano sul clan dei Casalesi. Ma se è una vittoria per la giustizia e per parte della società, c’è un’altra parte che ha avuto qualcosa da ridire: al termine dell’udienza, sono infatti volate ingiurie nei confronti di giornalisti, cameraman e del presidente del collegio giudicante da parte di alcuni degli imputati. Alcuni di loro erano già noti della malavita casertana: Francesco Bidognetti, altro esponente di spicco della cosca, è stato condannato a 9 anni di reclusione, anche se la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ne aveva chiesti 20. Per Emilio Di Caterino, da poco divenuto collaboratore di giustizia, la pena è di 3 anni. Fu lui a far scoprire ai carabinieri del Comando provinciale l’esistenza di una mega discarica di rifiuti tossici a Castelvolturno. Condannato invece a 20 anni di reclusione Alessandro Cirillo, che con Setola era stato già imputato proprio nel processo per la per la strage degli africani.

L’importanza peculiare della sentenza sta nel riconoscimento del coraggio e della determinazione di tutti coloro che si sono costituiti, fiduciosi, parte civile del processo (in primis le associazioni antiraket impegnate sul territorio per la sensibilizzazione e la lotta contro il pizzo, con l’appoggio del Ministero dell’ Interno).

L’ha confermato anche Alfredo Mantovano, il sottosegretario all’Interno con delega alla Pubblica sicurezza, che sostiene con forza quanti decidano di collaborare perché, come è accaduto oggi, “lo Stato risponde in concreto alla ribellione degli onesti contro il ricatto del crimine organizzato”.

(foto: Il Sole 24 ore)