L’Arte di arrangiarsi degli attori sul palcoscenico della crisi economica

di Redazione

Tra le categorie che sentono maggiormente il peso della crisi economica, ce ne sono alcune che, non solo vivono di precariato da sempre, ma non sono nemmeno protette da alcun tipo di ammortizzatore sociale, come quella degli artisti, considerata da molti, a torto, una classe di privilegiati. (Redazione)

palcoscenico Ai pochi vip con cachet astronomici, corrisponde, infatti, un esercito di professionisti che, decidendo di vivere d’arte e amando il proprio lavoro, contribuiscono, spesso con incarichi saltuari e compensi inadeguati, ad arricchire e preservare il patrimonio culturale del nostro Paese, diffondendo opere che appartengono alla nostra tradizione o lanciandosi in sperimentazioni e lavori che stimolano l’animo e le menti degli spettatori. Queste persone, soprattutto quando non hanno anche un secondo lavoro “normale” con cui mantenersi, spesso si trovano a vivere davvero in serie difficoltà. Basti pensare che, essendo il “mestiere” caratterizzato da periodi di

studio, non esiste una legge che tuteli espressamente questo arco di tempo di effettivo lavoro e, quindi, non è prevista alcuna retribuzione. Anche i periodi di prova a volte non sono pagati. Inoltre, spesso, si lavora stagionalmente e la disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti, prevista proprio nei casi in cui il lavoratore abbia lavorato per almeno 78 giorni nell’anno solare, oltre ad avere un contributo utile versato prima del biennio precedente la domanda, potrebbe dar loro un minimo di respiro economico.

Quasi tutte le sedi Inps, fino a tutto il 2010, applicavano tale istituto a chi, avendone i requisiti, ne faceva richiesta, fino a quando la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12355 del 20 maggio 2010, che faceva riferimento ad un Regio Decreto Fascista del 1935 convertito in legge nel ’36, ha confermato l’esclusione dal beneficio non solo dei lavoratori dello spettacolo con rapporto non subordinato, quelli cioè che lavorano con Partita Iva, ma di tutti coloro i quali possono essere annoverati tra il “personale artistico, teatrale e cinematografico”, ovvero quelli che hanno una preparazione artistica e culturale, lasciando fortunatamente fuori dalle restrizioni tutte le altre categorie che pure possono essere  annoverate tra i “lavoratori dello spettacolo”. Questo in virtù di una legge che – è bene ricordarlo - è decisamente datata ee si rifà ad una concezione di questo mondo che sicuramente era ben confacente con la professione svolta da artisti come Eleonora Duse che potevano, cioè, essere considerati imprenditori di se stessi, stabilendo a piacimento il proprio compenso, organizzando e decidendo le proprie tournee teatrali, nonché le rappresentazioni da portare in scena.

Oggi si potrebbe estendere tale concezione a tutti gli artisti famosi e con compensi alti, ma non genericamente a tutti gli artisti che sono veri e propri lavoratori dipendenti stipendiati e con regolare contratto.

Da anni i sindacati di categoria, le associazioni degli artisti e periodicamente qualche gruppo parlamentare provano a proporre una legge che possa, al di là del discorso sugli ammortizzatori sociali, regolamentare la vita lavorativa degli artisti che, al di là di scritture private a volte ai margini della legalità, non hanno una reale legge di riferimento come invece, per esempio, esiste in alcuni paesi europei tra cui la Francia.

L’ultimo tentativo legislativo porta il titolo di “Disposizioni per la tutela professionale e previdenziale, nonché interventi di carattere sociale, in favore dei lavoratori dello spettacolo” ed è un testo unico di legge che, seppur con tanti limiti, prova almeno a porre le basi per un percorso mirato alla tutela dei lavoratori dello spettacolo.

Purtroppo, a causa della crisi e della mancanza di fondi, anche questa normativa non ha avuto alcun seguito concreto. Ciò che di solito si trova nelle leggi sullo spettacolo dal vivo, sono solo riferimenti relativi alla spartizione dei fondi a sostegno delle attività culturali come il Fus che, negli ultimi anni ha subito notevoli riduzioni a causa della crisi. Per lo stesso motivo sono state, inoltre, fatte leggi, come la 100 sulle Fondazioni Lirico Sinfoniche, che hanno tagliato indiscriminatamente i fondi destinati alle attività culturali. In Italia, quello della cultura, è un settore che genera ricchezza e che dovrebbe essere visto come una risorsa strategica per il Paese e non come una zavorra. Ben 550.000 famiglie, infatti, mvivono di Cultura, (più del 2,8 % della forza lavoro italiana) e tra queste 12mila sono gli addetti del cpmparto solo a Napoli. La cultura, così come l’istruzione e la ricerca, quindi, non dovrebbe essere intesa come un costo, bensì come un investimento: si stima, infatti, che ogni euro investito in questo settore ne produce 6 in ricchezza per il Paese, ma l’Italia investe in cultura solo lo 0,21% del prodotto interno lordo. Sarebbe auspicabile, quindi, per consentire al mondo della cultura di generare ricchezza, puntare su questa grande industria, come accade nel resto d’Europa, dove, nonostante la crisi e nonostante i tagli che pure si effettuano, si continua, mediamente, ad impegnare l’1% del bilancio

dello stato (la Francia arriva addirittura al 7%, l’Inghilterra al 4%). Sarebbe, inoltre, auspicabile che i lavoratori dello spettacolo fossero ritenuti degni di una legge che garantisca loro almeno un minimo di sostegno al reddito, riconoscendogli lo status di lavoratori che producono ricchezza per il Paese e, in quanto tali, equamente ricompensati e protetti. Il riconoscimento di cui stiamo parlando passa necessariamente per l’attribuzione di nuovi diritti e per l’accesso ad un welfare adeguato alle necessità dei lavoratori, ma la maggior parte delle realtà che producono cultura dal basso vivono oggi, più che mai, sulla loro pelle, la crisi economica che sta attraversando i nostri territori.

E la situazione potrebbe anche peggiorare nei prossimi mesi e anni. Ai problemi già cronici, si è infatti aggiunta, di recente, la cancellazione, da parte del governo Monti, degli enti di previdenza Inpdap e Enpals. Quest’ultimo rimaneva l’unico riferimento per la categoria degli artisti ed era nato proprio per la peculiarità lavorativa dei suoi contribuenti, dotandosi di norme di tutela specifiche che, qualora venissero alterate, potrebbero ulteriormente compromettere il diritto alla pensione di intere categorie, in particolar modo dello spettacolo e dello sport. Inoltre, spesso, si è guardato al cosiddetto tesoretto Enpals come all’unica risorsa possibile per un welfare della categoria, tesoretto sulla cui sorte, ora, aleggia un mistero.

Tratto da Merqurio. Quaderni sindacali" Anno X, numero 2 Marzo/Aprile.