Dalla Serbia gli attori di Pathos e i giovani della comunità rom al Napoli Teatro Festival Italia

di Anna Laudati

Parte da Lecce il progetto BRAT. In soli tre anni il Napoli Teatro Festival, nato nell'agosto del 2007 grazie ad un concorso indetto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali è diventato tra i più importanti festival di teatro internazionale, al pari di Avignone ed Edimburgo. (Paola Pepe)

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Tre settimane di intensa programmazione dalla drammaturgia classica alle creazioni contemporanee, oltre 150 rappresentazioni innovative e coinvolgenti dalla musica alla danza, dalle arti visive alle videoinstallazioni. Più di 2000 artisti italiani e stranieri provenienti da 24 Paesi di tutto il mondo si sono incontrati nei teatri cittadini e in luoghi non convenzionali trasformati dal Festival in nuovi palcoscenici: accanto ai teatri storici e a quelli di innovazione, diversi spazi non teatrali, edifici monumentali, Chiese, gallerie d'arte, musei e zone industriali dimesse, sono diventati i teatri di un programma durato l'intero mese di giugno.

Sicuramente molti gli investimenti e molte le persone impiegate nelle lunghe giornate di lavoro. Si fanno incontri interessanti, per chi lavora in questo settore. Di spicco artisti del calibro di Peter Stein, Robert Lepage, Haris Pasovic, Rafael Spregelfurd, Ming Wong, Marco Baliani. Fra gli spazi deputati ad ospitare gli spettacoli anche l’ex-birreria Peroni di Miano, dove i dipendenti licenziati, circa 25 famiglie ormai da cinque anni senza lavoro e sostegno, accolgono il pubblico con volantini e bandiere del sindacato, giudicando la scelta dell’organizzazione del Festival irriguardosa nei loro confronti.

Ma del resto, si sa, la classe operaia va in paradiso. Dal centro di Napoli, ci voglio circa ¾ d’ora per raggiungere l’ex fabbrica in auto, fra traffico e smog. Un progetto sarà presto realizzato e vedrà sorgere, proprio lì, fra Miano e Scampia un enorme centro commerciale con Spa benessere. All’intero delle mura della fabbrica sono state realizzate due sale teatrali in tempi record: una con circa 430 posti e un’altra, un po’ più grande, con 480 collegate fra loro da immensi androni e corridoi intervallati da stanze e camerini prefabbricati. Del precedente insediamento umano più nulla, eppure quel luogo trasuda la sua storia e le sue problematiche. Nello Spazio 2, quello più piccolo, per tre sere consecutive dal 10 al 12 giugno, è andato in scena BRAT, fratello in serbo, della compagnia leccese Koreja.

Il progetto Brat (Fratello), co-prodotto dal Centar Za Kulturu di Smederevo con il sostegno della Regione Puglia e del Teatro Pubblico Pugliese, è il risultato di un workshop teatrale che si è svolto a Smederevo, in Serbia, con l’obiettivo di mettere in comunicazione e tentare di integrare la cultura rom con quella serba. I partecipanti al laboratorio hanno riscritto l’Opera del mendicante, il melodramma satirico di John Gay, composto nel 1728: i tre atti, ambientati nei bassifondi londinesi di Soho, riletti successivamente da B. Brecht e Kurt Weill nella celebre Opera da tre Soldi, si sono trasformati in un lavoro dal sapore impegnato con le musiche dal vivo composte da Admir Shkurtaj ed eseguite dallo stesso Shkurtaj alla fisarmonica, da Giorgio Distante alla tromba e da Redi Hasa al violoncello. 

“Incontriamo da tre anni un gruppo di giovani rom e giovani attori che vivono a Smederevo, afferma il regista, settanta chilometri da Belgrado, alcune centinaia da Lecce. Proviamo a fare teatro. Lavoriamo di sera, dopo faticose giornate di lavoro quotidiano, specie per i giovani rom, a raccogliere frutta, vetro e carta. Non vogliamo creare una nuova compagnia professionale né cerchiamo alcuna catarsi sociale. Che fare? Partiamo da un testo. L’Opera del mendicante di John Gay. Cerchiamo persone e attori in grado di dare senso e verità alle parole molto graffianti dell’Opera. Al tempo del reality quando sempre più sottile si fa il confine tra verità e finzione.

Ladri, ricettatori, donne di malaffare, capi di polizia in combutta per spillare quattrini dove si può: questi sono i nuovi eroi di un mondo alla rovescia. Una storia rappresentata tante volte in diverse epoche e luoghi. Undici non attori rom e otto giovani attori serbi, assumono ruoli da commedia dell'arte, facendosi testimoni di una cultura, la propria. Una cultura che, come i piccoli ladruncoli che loro mettono in scena, è destinata a scomparire. Ne è scaturita una "presentazione" che, giocando con gli stereotipi di una cultura periferica, mette proprio in discussione il labile confine tra finzione e realtà.”  

La scena è vuota: quinte nere e due file di sedie dello stesso colore, sul fondo del palco. Ad accompagnare gli attori solo il gioco di luci. Sul lato sinistro una piccola pedana racchiude in un quadrato,sempre illuminato, i tre musicisti. Lo spettacolo trasmette energia viva, palpitante. I giovani rom serbi sono già uomini, hanno poco più di 20 anni e nel loro paese una moglie e una media di tre figli a testa. In scena sono impegnati, attenti, concentrati. La storia di un’intera cultura passa leggera come una folata di vento in poco meno di un’ora. Tocca, avvince, appassiona. Convince. Convince con l’espressività del corpo. Convince con ironia e fa riflettere.

Il testo, rigorosamente recitato in lingua serba è reso più comprensibile dai sopratitoli proiettati sul fondale nero. Nomi diversi, tempi diversi. Ma nelle pieghe del testo vecchio di quasi tre secoli, un’attualità sconcertante. Le taglienti parole di J. Gay si stemperano in un’atmosfera festosa di canti e balli provenienti da tradizioni antiche, merce di scambio e linguaggio universale. Sabine il canto benaugurale per i matrimoni, un sensuale tango che avvolge le prostitute traditrici dell’Opera, una marcia funebre e una meravigliosa e ritmata versione di Djelem Djelem, l'inno del popolo Rom a ricordare che la vita è solo un viaggio. Lentamente, ogni luogo comune sulla cultura rom scompare fra i sorrisi bianchissimi di tutti quei “brat” seduti poco prima dello spettacolo sui gradini dell’ex-birreria, impegnati a ripassare le parti, a capire e suggersi il modo migliore per riportare in scena un gesto e regalare al pubblico un’emozione.