Antonio Tabucchi ci lascia. Se ne va un autore che ha fatto dell’impegno la sua personale firma

di Vinicio Marchetti

Il narratore pisano, da tempo malato, si spegne a Roma all’età di 68 anni. (Vinicio Marchetti)

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Sembra trascorsa una vita da quando, il 1971, vide la prima pubblicazione di un Antonio Tabucchi appena trentenne. L’opera si chiama “La parola interdetta” e la sua poesia, un surrealismo del tutto portoghese, fu il biglietto da visita di una carriera costellata di profondità, filosofia che si mescola alla lirica, e tanto, sconfinato, impegno civile.

Anche la narrativa ha avuto il suo giusto tributo. Requiem, pubblicato nel 1992, è probabilmente uno dei libri più conosciuti e apprezzati dello scrittore. Quest’opera è scritta interamente in portoghese e, senza troppi fronzoli, potrebbe essere definita come un lungimirante quadro in cui i colori disegnano tratti di perdizione e intima conoscenza.

La vita di quest’autore è così, alla fine: un vortice tumultuoso di colta inquietudine di uomo. Tabucchi, infatti, conobbe la maturazione attraverso ciò che, per logica umana, dovrebbe nobilitare anche tutti coloro che si svegliano tutti i giorni senza possedere un decimo del suo talento: il lavoro mediocre. Tabucchi trovò lavoro presso un mediocre giornale in cui si occupava di curare la pagina dei necrologi.

Affermare che scrivere dei morti, probabilmente, l’abbia aiutato a comprendere meglio i vivi è quasi scontato.

Com’è scontato pensare cosa debba fare per vivere, in Italia, un uomo che è stato il più grande, conoscitore, traduttore e critico dell’opera di Ferdinando Pessoa. Trasportando nel bel paese il concetto letterario della saudade e della finzione degli eteronimi; un uomo che ha goduto di onorificenze quali il Medicis Etranger, il Notturno indiano e premio Campiello; un autore le cui opere sono state tradotte in 18 lingue differenti, sempre con i medesimi successi.

Vivere in Italia è difficile, senza dubbio. Essere dei grandi della nostra storia lo è ancora di più. Antonio Tabucchi può vantarsi di essere riuscito in quest’impresa.