Libri. Diario del ’71 e del ’72, Montale apre l’oscuro retrobottega della sua poesia

di Vinicio Marchetti

Il poeta genovese, anarchico e geniale, dona alla storia un’opera i cui versi si accavallano senza tregua in un possente vortice di crudele poesia. (Vinicio Marchetti)

diario_del_71_e_del_72_montale Tra le opere migliori che la letteratura italiana ricordi, non può assolutamente essere trascurato il Diario del '71 e del '72 di Eugenio Montale, edito da Mondadori nel 1973.

Quest’opera, unica e alienante, è il resoconto poetico dell’anarchia artistica del suo autore. Le poesie che compongono l’opera, infatti, non seguono alcun dettame. Nessuna forma di partitura ne stabilisce l’ordine ma soltanto il suono che i versi riescono a disegnare nella mente generano una melodia sublime.

Novanta componimenti che si susseguono senza tregua. Medesima formula vincente che veniva adottata in Satura, altra perla consegnata alla nostra storia letteraria.

Il tema trattato è, più che mai, il pessimismo che, inequivocabilmente e imprescindibilmente, è il marchio di fabbrica del poeta genovese.

Una realtà abbruttita che, nell’impari confronto con Dio e gli dei, esce orribilmente vincitrice.

Parole che, null’altro al mondo, descriverebbe meglio del suo autore:

“C’è chi dice che tutto ricomincia, eguale come copia ma non lo credo, neppure come augurio.

L’hai creduto anche tu? Non esiste a Cuma una sibilla, che lo sappia. E se fosse nessuno, sarebbe così sciocco da darle ascolto”.

Un Montale che è uomo ed eroe in termini indipendenti, cercando, con i suoi versi, di salvarci dall’oblio rivelandoci l’orrore di ciò che siamo: cadaveri che camminano e pensano.

È innegabile la violenta presa di posizione di Montale. Un’espressione stilistica votata all’allontanamento dal proprio tempo. L’autore descrive l’uomo come una spoglia parvenza, un’ombra di un informe se stesso.

Diario del 71 e del 72 potrebbe essere definita come una lucida allucinazione. Una poetica interpretazione personale del sogno da cui Dante trasse la Divina Commedia.

“Avevamo studiato per l’aldilà
Un fischi, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
Che tutti siamo già morti senza saperlo”.

Montale ha avuto l’ardire di svelare ai suoi lettori l’angolo buio dei suoi versi. Usando il termine che l’autore stesso offrì a Francesca Ricci, autrice della prima opera di esegesi del Diario del '71 e del '72, ha aperto “il retrobottega della sua poesia”.

Un percorso poetico che, come poche altre volte la storia ha concesso di vedere, ha trovato nel confronto tra felicità e morte uno sproporzionato omaggio alla perfezione dell’arte.