L’orgoglio e i pregiudizi. A Roma un seminario per giornalisti sui temi del genere e dell’orientamento sessuale

di Veronica Centamore

Quali sono i dieci errori da evitare quando si parla di LGBT? (Veronica Centamore)

orgoglio_pregiudizi_seminario_roma Roma, 16 ottobre. Presso i Musei Capitolini si è svolto nei giorni scorsi un seminario sull’argomento dell’omosessualità e il suo rapporto con l’informazione. Intellettuali, artisti ed esponenti del mondo politico hanno discusso di questo tema poco affrontato. Molte “parole” suscitano un certo timore nell’essere pronunciate, quasi come se già nel termine fosse implicita una certa vergogna (persino alcune lesbiche ancor oggi provano imbarazzo nel pronunciare questa parola): responsabilità del “comunicatore” diventa quella di veicolare i termini più adatti, idonei a non irritare le sensibilità.

Ad iniziare è Paolo Concia (appartenente al P.D. ed attivista per i diritti LGBT, acronimo utilizzato come termine collettivo per riferirsi a persone Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) parla di "Pari opportunità", del ruolo dello Stato come fonte che dovrebbe garantire le regole della comunità nella sua totalità. Poi, passa all’importanza della responsabilità individuale ed invita i presenti, per la maggiore appunto professionisti della comunicazione, in quanto strateghi per indole, ad inventarsi il modo migliore per favorire il riconoscimento dei diritti delle persone LGBT “in modo da costruire una nuova consapevolezza”. Problema principale? L'arretratezza del nostro paese. Lazzaro Pappagallo (Giornalista del tg3) addebbita la causa di certa scadente informazione alla pigrizia di alcuni professionisti della comunicazione dediti alla banalizzazione del linguaggio e a certi stereotipi. Claudio Rossi Marcelli (Giornalista di Internazionale) affronta la tematica de “I vizietti di certa stampa”. Ed individua i 10 errori da evitare quando si parla di persone LGBT:

1) Coming out. L’utilizzo improprio di certi termini "esotici". In quanto di tendenza vengono spesso impiegati in circostanze non pertinenti. (Es. l’outing "etero" di Raul Bova);

2) Le immagini. Scelta di immagini non contestuali ad un articolo. (Es. foto di due trans variopinte al gay pride mentre si argomenta sulla tematica delle adozioni da parte di persone gay);

3) Lesbiche. Evitare eufemismi utilizzati da certa stampa per paura (Es. l'inflazionato termine "alternativo" di saffico, che tende più a far pensare ad atteggiamenti lascivi e pornografici);

4) Mamma. Solitamente la madre corrisponde sempre alla mamma. Ma c’è una certa differenza fra i due ruoli. Madre è chi genera mentre mamma chi cresce un figlio. Immaginarsi la situazione in un contesto di famiglia “alternativa”;

5) Comunità gay. Idealmente non esiste. (Es. Franco Grillini, Presidente onorario dell’Arcigay, spesso viene invitato nelle varie trasmissioni televisive quale sommo rappresentante “del mondo gay”, tale condizione non può essere possibile, l'omosessualità ha troppe sfaccettature per essere identificata come un unico;

6) Il fidanzato di lui. Vari valzer di parole per non definire una certa condizione (Es. I diversi appellativi attribuiti alla persona in questione: amico, persona vicina, persona di fiducia, ecc..)

7) Transessualità. La confusione dei termini o meglio del loro utilizzo. (Es. uomo che diventa donna è “una ” transessuale al contrario “un” transessuale;

8) Famiglia gay. Cosa vuol dire? In questo modo, con tale definizione, l’orientamento sessuale dei genitori si proietta sui figli, sarebbe il caso di parlare di omogenitorialità. O solo di… famiglia?;

9) Icona gay. Personaggio famoso che “intrattiene una particolare relazione” col pubblico gay (Es. Madonna) mentre altri es. illustri, come Raffaella Carrà, sono delle icone inconsapevoli più dovute a questioni di estetica. Mentre, per certa stampa,  spesso basta essere gay e personaggi famosi per diventare icone gay;

10) Parole omofobe. Dovrebbero essere evitate. (Es. “scelte sessuali” come se si potesse scegliere. O “Tollerare” che equivale a sopportare, termine decisamente inadatto). “Le parole sono come le uova e con delicatezza vanno trattate, soprattutto se si lavora sul pregiudizio” (Rossi Marcelli).

Delia Vaccarello (scrittrice e giornalista professionista) affronta la tematica del pregiudizio sociale che associa il termine trans a prostituzione. I media raramente raccontano la realtà dei trans, i rapporti con la famiglia, la legislazione attuale, il percorso lungo e difficoltoso al quale si sottopongono prima di arrivare all'intervento, l'adeguatamente del corpo al genere sentito come proprio, il concetto di identità di genere, il ruolo sociale, la legge 164 dell'82 (che elabora il concetto di salute legato alla sessualità), la terapia ormonale, il test della vita reale (ovvero indossare abiti femminili e comportarsi da donna). "La transessualità non è un travestimento (...) Sostituire parole sbagliate a parole giuste", questa è la sua emergenza. Parla della mission del giornalista che deve evitare l'autoreferenzialità che lo fa diventare un semplice impiegato della parola. Che deve sentire addosso la responsabilità del lavoro, la funzione sociale e democratica ormai smarrita ma il rapporto tra normalizzazione e spettacolarizzazione (o sensazionalismo) ne crea l'equivoco. Fa più notizia: "Noto uomo politico beccato con UN trans" piuttosto che "Noto uomo beccato con UNA trans" diciamo che diventa più morboso e quindi appetibile per il lettore. Ivan Cotroneo (regista e sceneggiatore) a proposito della presenza di persone gay all'interno di una fiction tv: "Mi piacerebbe che venisse accolto dallo spettatore come tutto il resto della comunità degli altri personaggi insomma, parte della realtà proprio come accade nella vita reale. Non come evento o straordinarietà anzi, il contrario dovrebbe esser visto così". Alessandro Baracchini (Giornalista di Rai News) parla del suo casuale coming out in diretta tv, il giono dopo 1500 richieste di amicizia su fb. Necessità della gente comune è quella di trovare un referente noto che abbia più coraggio. Alla fine viene sollevato l'annoso problema del codice etico o ordine di vigilanza. Prima si chiede al giornalista di farsi vate o comunque portatore della verità assoluta, contemporaneamente però, essendo responsabile della sbagliata comunicazione, si chiede come punirlo. Risultato? Comunicazione croce e delizia di colui che la proferisce, orgoglioso ma pieno ancora di pregiudizi. A tutti i partecipanti al seminario, oltre agli abituali gadget, viene rilasciato un opuscolo con all'interno un glossario che riguarda proprio i termini impiegati per definire l'ambito LGBT, un piccolo passo per far incontrare la teoria di un seminario di "addestramento" con la pratica di chi dovrà esercitare professionalmente la divulgazione. Pace fatta.