Gobal Voices. Da Harvard lo spazza notizie

di Anna Laudati

Un team di volontari esperti, professionisti, appassionati, traduce in svariate lingue (15 a oggi) i racconti più significativi dei blogger in giro per il mondo (di Andrea Sottero

 

global_voices.jpgIl mondo in cui viviamo è ricco di paradossi. Ci sono sempre stati - obietterà qualcuno - ma la dimensione globale in cui tutti noi viviamo li amplifica enormemente. In pochi, forse, se ne accorgono, ancora meno probabilmente sono coloro che ne hanno una reale consapevolezza. Chi, però, si occupa di informazione o ne è appassionato non può fare a meno di rilevare quelli più evidenti che affliggono (o forse stimolano in modo positivo) questo settore.

Oggi viviamo in una realtà dove tutti vogliono essere informati su tutto, eppure il giornalismo, quello vero, è in crisi. Siamo immersi in una dimensione inimmaginabile fino a qualche decennio fa, un contesto dove l’accesso a una abnorme quantità di notizie  ci offre potenzialità incredibili. Eppure siamo passati da avere informazioni limitate ad averne troppe in troppo poco tempo. E quando la parola “troppo” compare più di una volta in una frase - la semantica non inganna - i problemi sono alla porta e la domanda da farsi è evidente: come facciamo a scegliere? La crisi del giornalismo ha radici profonde, che affondano nella difficoltà che il settore ha avuto nel fare fronte ai nuovi mezzi di comunicazione. Il risultato è stato quello di avere editori tendenzialmente in perdita e giornalisti alla porta. Molti, anzi, in quella porta non sono mai riusciti a entrare. La colpa, però - diciamocelo! - è anche un po’ loro. Perché quando il giornalismo sa essere di qualità e da noioso e mediocre lavoro di bottega, pieno di comunicati stampa preconfezionati e interviste fin troppo scontate, ritorna ai suoi fasti con inchieste che dicono qualcosa di nuovo, scoprono, indagano, confrontano in modo critico, non asservito, non sterilmente polemico, qualche risultato apprezzabile ne sa ancora dare.

La gente vuole le storie, quelle vere, quelle nascoste, quelle che non ha sentito o letto ancora da nessuna parte. Basta che siano autentiche. Non si spiegherebbe in altro modo il successo che hanno avuto prima i blog e poi, un po’ sulla loro scia, tutti i social network che stanno mandando in pensione giornali, televisione e persino la ormai già non più giovane  email. Ma sui blog possono scrivere tutti, ma proprio tutti (se si escludono, naturalmente i soliti due o tre miliardi di persone che non hanno alcun tipo di accesso alla tecnologia). Ed eccoci all’altro paradosso: come si fa a capire di chi fidarsi? Come si fa a selezionare, nella miriade di messaggi e pseudo-reportage pubblicati in rete ogni giorno, le vicende che hanno un interesse globale, da quelle che possono animare al più un vicinato particolarmente pettegolo? Ci vuole qualcuno che dia  un ordine al caos, pur preservandolo nella sua più autentica pluralità.

Il progetto Gobal Voices va appunto in questa direzione. Un team di volontari esperti, professionisti, appassionati, traduce in svariate lingue (15 a oggi) i racconti più significativi dei blogger in giro per il mondo. Soprattutto, verifica i contenuti e  le identità di chi li ha scritti e propone ogni settimana e seleziona di settimana in settimana un rosa di cinque dieci post la lasciare sulla pagina principale del sito, quasi fossero spilli di riflessione. Il sito offre, inoltre, percorsi di formazione per chi vuole imparare a padroneggiare i mezzi tecnologici e informatici che ha a disposizione  per comunicare (naturalmente open source) e una piazza privilegiata per la libertà di espressione di quelle perone che vivono costantemente sotto censura. Ai  contenuti tradizionali dei blog si aggiungono podcast, video, immagini e animazioni artistiche e a dimostrazione del fatto che anche nel mondo dell’informazione classica si è imboccata la strada dell’innovazione, consapevoli che in un panorama tanto complesso le sinergie sono indispensabili per poter rimanere qualitativamente ai massimi livelli, l’agenzia di stampa Reuters collabora attivamente al progetto. Laudatio a parte, non si può fare a meno di considerare che l’idea, per quanto nata presso il Berkam Center for Internet Society del prestigioso college di Harvard, non è poi così innovativa. In fondo esistevano già gli aggregatori  automatici di notizie. Qual è allora il valore aggiunto? Forse proprio il fattore umano!