Youth Action for Change. "Giovani protagonisti nella sfida per la creazione di un Paese migliore"

di Andrea Pellegrino

Incontriamo Selene Biffi, fondatrice di YAC, all’evento di lancio di “Cittadini 2.0_Giovani che costruiscono il cambiamento” che ha coinvolto giovani provenienti da tutt’Italia che si sono resi protagonisti del cambiamento dei territori in cui vivono. Youth Action fot Change, tra i sostenitori della campagna Giovani 2.0, è un organismo internazionale e la prima organizzazione a livello mondiale gestita da giovani per i giovani che raggiunge persone in 120 paesi. (Andrea Pellegrino

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Brianzola, laureata alla Bocconi, Selene Biffi dal 2005 è la coordinatrice nonchè fondatrice di Youth Action for Change (YAC). L’anima dell’iniziativa è quella di mettere in contatto ragazzi che hanno idee e voglia di fare. Il sito offre, gratuitamente on-line, strumenti e conoscenze per garantire la formazione e il dialogo in diversi campi: dai diritti umani allo sviluppo sostenibile, dalla partecipazione giovanile alla salute pubblica al rispetto per l’ambiente. Questo servizio è valso alla Biffi numerosi riconoscimenti da parte dell’Onu e altrettanti premi, come quello del Consiglio d’Europa (il World Aware Education Award), dell'Oxfam, dell'Unicef e da Nokia per la comunicazione giovane, che l’hanno condotta a parlare di YAC al congresso degli Stati Uniti. La Biffi e i suoi collaboratori sono i primi ad avere pensato di fornire moduli di formazione peer-to-peer, in questo caso da giovani a giovani dai 15 ai 29 anni. Attualmente offrono 14-15 corsi tenuti da ragazzi cui si affiancano letture di adulti ed esperti del campo. Il sito conta 1200 membri, in cinque continenti. 

Perché hai deciso di metterti in gioco e cominciare a costruire il cambiamento che volevi vedere nel mondo?
Poter partecipare alla conferenza di Oxfam nel 2004 – da dove è poi nata l’idea di YAC – mi aveva fatto rendere conto che c’erano moltissimi ragazzi con voglia e idee per cambiare la loro realtà, ispirandomi a fare qualcosa in prima persona per cercare di creare un cambiamento concreto e avviare un processo di miglioria locale, senza dover aspettare di crescere o di ricevere supporto dai ‘grandi’.

Che riscontro hai trovato nei tuoi coetanei o cui hai presentato il tuo progetto?
Ho sempre trovato ragazzi curiosi ed entusiasti dell’idea di YAC, anche se YAC è di per sé un’idea molto semplice, solo un ponte tra giovani di vari Paesi che mettono in rete le loro esperienze e conoscenze per creare insieme un mondo diverso, migliore. Spesso i ragazzi che sentono parlare di YAC si stupiscono dei risultati raggiunti nonostante gli scarsi fondi disponibili o il fatto che siamo tutti giovani. La cosa che mi fa sempre piacere è vedere che molti di loro poi decidano di impegnarsi in cause sociali in prima persona o addirittura iniziare qualcosa di loro. 

Quale pensi sia stata la molla che ha spinto tanti ragazzi a mettersi in gioco al tuo fianco?
Credo sia forse dovuto al fatto che i ragazzi capiscano che nonostante i risultati globali, YAC è comunque una piccola realtà dove ognuno può mettere a disposizione le proprie competenze, crescere personalmente e professionalmente, vedere che il proprio impegno ha un impatto diretto ed imparare da tanti altri giovani come loro. Il fatto poi che siamo tutti volontari fa capire anche un po’ dello spirito che c’è dietro. 

Come hai fatto a coinvolgere tanti giovani in diverse parti del mondo nel tuo progetto?
Credo con tanta passione e determinazione! Per la parte logistica invece, usando strumenti semplici e gratuiti come mailing list e newsletter in primis, quando ancora non c’erano i social networks. Negli ultimi due anni abbiamo usato moltissimo anche facebook, soprattutto per postare news o call per i volontari. Cerchiamo dal 2007 di localizzare poi sia i corsi che le altre attività, aggiungendo varie lingue (Inglese e Spagnolo, dal 2011 anche Portoghese e Arabo) e creando network locali con università, ONGs, gruppi di giovani e studenti. 

Quale ruolo vedi per i giovani nella costruzione del cambiamento?
Vedo assolutamente un ruolo di prim’ordine, specialmente se teniamo in considerazione il fatto che il 62% della popolazione mondiale ha meno di 25 anni d’età (stime della Banca Mondiale). Un dato non indifferente soprattutto per il tipo di potenziale che i giovani hanno, oltre all’entusiasmo e alla passione per cause sociali e civili. Negli ultimi anni si è poi assistito ad una vera e propria presa di coscienza da parte dei giovani un po’ in tutti gli angoli del pianeta, che chiedono sempre di più a gran voce di essere ascoltati, inclusi nei processi decisionali e coinvolti in azioni concrete di cambiamento. 

Quali pensi debbano essere le linee guida del cambiamento che i Cittadini 2.0 sono chiamati a portare?
Credo che i Cittadini 2.0, potendo contare sulla potenza e l’efficacia delle nuove tecnologie e dei social network, possano assumere un ruolo maggiore nella costruzione dal basso di un futuro migliore. Sicuramente delle linee guida dovrebbero contenere valori come merito e uguaglianza, ma anche rispetto e partecipazione condivisa. 

I giovani d’oggi sono sempre più visti come una generazione poco impegnata e sempre più concentrata sui propri problemi. Da giovane, credi che questa visione risponda al vero?
Credo che questa sia solo una delle molteplici analisi che spesso vengono fatte sul ‘mondo giovanile’. Certo, è forse tra le tesi che vanno per la maggiore se ci si ferma ad uno sguardo frettoloso e superficiale come spesso fanno i media, ma scavando sotto la superficie, si nota invece un panorama attivo, capace, entusiasta, che non ha paura di lavorare e sperare. Nonostante tutto, nonostante l’ascensore della mobilità perennemente rotto e la gerontocrazia imperante. 

Come credi si possa incentivare la partecipazione dei giovani alla vita delle loro comunità?
Penso che i giovani abbiano solo bisogno di essere incoraggiati e valorizzati per le idee nuove, creative e pratiche che possono apportare a qualsiasi ambito di intervento, costruendo spazi adatti per creare un dialogo partecipativo migliore e che possa ispirare risultati concreti. Non c’è bisogno di fora ufficiali o istituzionali, è sufficiente lanciare una rete trasparente di scambi, reali o virtuale che sia. 

Quali ostacoli vedi nella partecipazione giovanile ai processi decisionali della nostra società?
Purtroppo di ostacoli ce ne sono ancora molti, anche se la situazione sta lentamente migliorando rispetto a quando ho cominciato, cinque anni fa. Si fa ancora fatica a capire e integrare la visione e il contributo dei giovani, e ci sono ancora molti stereotipi legati non solo ai giovani in generale, ma anche ai giovani che decidono di mettersi in gioco in prima persona a vari livelli decisionali, sia nella sfera pubblica che in quella sociale. Non è difficile capire che chi ha una posizione di rilievo, specialmente nel nostro Paese, è meno disponibile a confrontarsi con chi ha la metà dei suoi anni, ma così facendo si perdono molte possibilità per lavorare insieme ad una società nuova.

Da giovane italiana, cosa si dovrebbe fare e su cosa si dovrebbe investire per fermare il sempre più grosso flusso di giovani energie che ogni anno abbandonano l’Italia?
La fuga dei cervelli è anzitutto un processo globale, non solo italiano, anche se da noi si fa sentire sempre di più, specialmente in aree legate alla ricerca scientifica o all’innovazione tecnologica. Da una parte i giovani se ne vanno perché non vedono un futuro neanche a seguito di molti investimenti e sacrifici personali, dall’altra molti vanno via perché credono che all’estero è sicuramente più facile. La verità è che la mediocrità non viene premiata neanche all’estero, e che uno fa fatica sia qua che là. Quello che è diverso è la meritocrazia, che premia gli sforzi dei più meritevoli, una condizione che siamo ancora un po’ aldilà da raggiungere da noi. Credo sia importante incentivare di più la passione e il talento giovanile, investendo oltre che sui migliori sul sistema Italia in generale, affinché nessuno rimanga indietro e tutti possano vedere le proprie aspirazioni realizzate. Fondi, borse di studio, banche dell’innovazione etc, sono sicuramente un buon punto di partenza, ma non sono sufficienti se non si lavora con istituzioni, imprese già avviate, università e istituti per valorizzare il potenziale di ognuno. 

Quale credi debba essere il ruolo delle giovani generazioni per il rilancio dell’Italia?
Credo che i giovani debbano poter riconoscere il loro ruolo, talento e posto nella sfida per la creazione di un Paese migliore ci pone davanti. Non è pensabile raggiungere risultati di rilievo se tutti non contribuiscono nella misura a loro più consona, specialmente per quanto riguarda coloro che, come giovani, si trovano a scontrarsi ogni giorno con istituzioni vecchie e lottare per potersi ritagliare un domani diverso. Il loro è un ruolo di primo piano che, anche se spesso minimizzato, sarà fondamentale vedersi riconosciuto per creare una sostenibilità futura in ogni ambito ed esprimere il proprio potenziale unico per il miglioramento del Paese.