Gay al pentagono: il Senato americano ha abolito la legge di Clinton. Yes they can!

di Anna Laudati

Archiviata definitivamente la politica del “don’t ask don’t tell”, che costringeva i militari omosessuali a non dichiarare il proprio orientamento, pena l’impossibilità ad entrare al Pentagono. (Ornella Esposito)

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E’ decisamente uno “storico passo in avanti” (come lo ha definito Obama), l’approvazione da parte del Senato americano di una legge che finalmente consente agli omosessuali di non dover più nascondere le proprie preferenze per far parte delle forze armate statunitensi. Gli States, il cui simbolo per antonomasia è la Statua della Libertà, sono il Paese dalle mille contraddizioni. A San Francisco, nel 1970, ebbe inizio la storica battaglia per il riconoscimento dei diritti dei gay (di recente il film “Milk” ha riportato in auge l’argomento) e più in generale dei diritti civili; sempre l’America persegue una politica liberale proponendosi come il paese in cui è possibile, per ciascuno, realizzare il proprio sogno, e noi spesso guardiamo a questo Stato come esempio di progresso e civiltà. Ma gli Usa, sono anche il paese del proibizionismo, della segregazione razziale, dell’alto tasso di povertà e della discriminazione se si è gay e si vuole entrare nell’esercito.

La legge, in vigore dal 1993 con l’amministrazione Clinton, che non consentiva a gay e lesbiche di dichiararsi apertamente, rappresentava un compromesso per evitare l’epurazione di tali soggetti dall’esercito ricalcando la logica della doppia morale (anche questa tipicamente americana) del non voler sapere (non chiedo, non me lo dire), logica che si ritrovava in altre importanti decisioni di stato, come quelle relative alla guerra, alla finanza, alla sanità. Recentemente un giudice federale, con sentenza, ha cassato la “don’t ask don’t tell” come incostituzionale in quanto contraria al V° emendamento. C’è da dire che le grandi questioni sociali, come l’omosessualità, il diritto alla salute, l’immigrazione non sono facili da trattare e, rispetto ad esse, bisogna tenere presente le varie sensibilità di un paese ed operare le necessarie contestualizzazione per non scadere in considerazioni banali e ciecamente di parte, che mortificano il concetto stesso di pluralismo e democrazia.

Infatti, un’altra grande questione che separa l’America è quella della legge sull’immigrazione, anch’essa in discussione e che divide non solo le due fazioni contrapposte, ma anche i partiti al loro interno. I democratici sono favorevoli a politiche accoglienti verso gli stranieri (e il problema sicurezza dopo l’11 settembre?), i repubblicani tenderebbero al respingimento ma da buoni uomini d’affari, sanno anche molto bene che l’immigrazione fa girare l’economia perché offre manodopera a basso costo. In America (come in tutti gli altri paesi) i lavori di più basso profilo sono totalmente appannaggio degli stranieri che, se non ci fossero, sarebbe un vero e proprio danno per l’economia.

In Senato al momento è arenata una proposta di riforma bipartisan che prevede l’autodenuncia da parte degli immigrati clandestini, e la loro contestuale richiesta di regolarizzazione con il possesso di una carta di identità che attesti lo status di lavoratore regolare. La questioni sociali sono spinose perché non ci sono soluzioni perfette, tuttavia, esiste un minimo comune denominatore rappresentato dal riconoscimento dei diritti umani e civili ai quali tutti devono fare riferimento.

Un chiaro esempio ne è, appunto, l’abolizione della legge “don’t ask don’t tell”.  "Yes they can"!