Italians for Darfur. La parola ad Antonella Napoli che ha trasformato il suo impegno in progetti concreti

di Gerarda Pinto

“Con il mio lavoro ho voluto dare la possibilità, a chi è pronto ad aprire uno spiraglio della propria conoscenza al Darfur, di conoscere questa realtà”. Sollecitare più informazione sulla crisi in corso e chiedere l’impegno del Parlamento e del Governo italiano, affinché siano garanti del proseguimento dell’azione politica – umanitaria per il Darfur, è senz’altro utile. Ed è per questo che proseguiamo nella nostra campagna pro – Darfur”. (Gerarda Pinto)

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Antonella Napoli, giornalista professionista, classe 1972, è la presidente dell’associazione Italians for Darfur e da anni si occupa di diritti umani, promuovendo campagne, eventi e iniziative istituzioni. Laureata in Scienze politiche, nel 2000 comincia a occuparsi di comunicazione politica, prosegue il suo impegno nel giornalismo realizzando un reportage da indipendente in Darfur, presentato al concorso Ilaria Alpi. Nel corso di un’intervista, Antonella,  ci spiega i motivi che l’hanno spinta a focalizzare l’attenzione in una terra, il Darfur, una regione dell’Ovest del Sudan, devastata da una guerra sanguinosa, ma di cui si sente parlare poco. 

Ci sono nel mondo grandi piaghe che noi tutti conosciamo ma che pochi prendono a cuore davvero, impegnandosi sugli obiettivi per la risoluzione di problematiche così complesse. Quando è entrata in contatto con la dura realtà del Darfur?
Ho toccato con mano, per la prima volta, e ho visto con i miei occhi e vissuto il dramma del Darfur da giornalista nel 2005. Ero al seguito di una missione del World Food Programme. Già allora la crisi umanitaria in questa regione sudanese dilaniata da una guerra iniziata nel 2003 era considerata, a livello mondiale, la più grave degli ultimi decenni. Eppure la percentuale di coloro che conoscevano questa crisi era imbarazzante, soprattutto nel nostro Paese che ignorava del tutto cosa fosse il Darfur. La poca sensibilità dei media, e di conseguenza della società civile, nei confronti di questa tragedia era palese". 

Cosa l’ha spinta a non essere solo una semplice osservatrice ma una grande testimone di storie dimenticate?
"Per dire ‘no’ all'indifferenza nei confronti di questa tragica 'storia dimenticata' e garantire una migliore qualità del servizio televisivo italiano e dei media in generale al fine di sensibilizzare e mobilitare l’opinione pubblica in favore di questa causa, è nata ‘Italians for Darfur’.       Con Mauro Annarumma, che coordina il movimento online che ha segnato nel 2006 l’inizio del percorso dell’associazione, abbiamo avviato una campagna che ha visto l’adesione di giornalisti, artisti, docenti universitari, operatori umanitari e tanta gente comune. Il rapporto 2008 dell'Osservatorio di Pavia per Medici Senza Frontiere, a due anni dall'inizio del nostro impegno, evidenziò che proprio grazie all'attività della nostra associazione le notizie sulla crisi sudanese nei maggiori telegiornali nazionali erano passate dalle 12 del 2006 alle 54 del 2007".

Lei ha raccolto e documentato “I volti e il colore del Darfur” nel suo libro e curato una mostra sul Darfur, consapevole della forza espressiva delle immagini e delle parole. Che cosa può davvero spingere la curiosità di un lettore o visitatore a trasformarsi in impegno concreto?
“Le immagini che testimoniano i massacri perpetrati in Darfur non mancano e forse andrebbero diffuse con maggiore intensità. Sono in possesso di un vasto archivio di foto di villaggi in fiamme, corpi bruciati o mutilati, fosse comuni, cadaveri di uomini, donne e bambini stesi gli uni accanto agli altri. E poi, ragazze legate, nude, violentate e deturpate, uccise barbaramente. Tutto questo e molto di più, è il Darfur. Per molti questo è materiale non pubblicabile. Ed è così. Io stessa non ho utilizzato quel tipo di immagini nel mio libro. Ma vista l’indifferenza che mostra ancora una parte della comunità internazionale verso questa grande tragedia umanitaria, pubblicare gli ‘orrori’ che testimoniano la gravità dei crimini perpetrati in Darfur potrebbe essere lo ‘schiaffo’ mediatico capace di dare una scossa”.

Qual è il limite tra compassione, che finisce, appena si smette di guardare ciò che sembra troppo lontano, e senso di dovere e responsabilità, che spingono ad agire?
“Il conflitto in Darfur, nell’arco di quasi otto anni, ha provocato circa 300.000 morti e ha costretto due milioni e mezzo di persone alla fuga, destinandole a una vita da sfollati sia all'interno del Sudan, sia nei campi profughi in Ciad, circostanza che, di fatto, ha allargato il conflitto anche a questo paese confinante. Ma i grandi media si ricordano solo a fasi della gravità di questa crisi. Purtroppo più si allunga un conflitto, più s’incancrenisce e rischia di non trovare una soluzione e di non’interessare’ agli organi d’informazione e conseguentemente alle Istituzioni che dovrebbero operare per porvi fine. Sollecitare più informazione sulla crisi in corso e chiedere l’impegno del Parlamento e del Governo italiano, affinché siano garanti del proseguimento dell’azione politica – umanitaria per il Darfur, è senz’altro utile. Ed è per questo che proseguiamo nella nostra campagna pro – Darfur”.

Nel corso di questi anni quali sono i successi ottenuti da “Italians for Darfur”?
Per iniziativa dell’associazione sono state approvate tre mozioni parlamentari e due ordini del giorno sul Darfur e una risoluzione della Commissione Vigilanza della RAI. Italians for Darfur è intervenuta al Premio Italia Diritti Umani 2008, organizzato dalla Free Lance International Press. Ha promosso, come Ong capofila, tre audizioni di organizzazioni non governative impegnate in Sudan presso la Commissione Esteri (2007- 2008) e il Comitato per i diritti umani della Camera dei Deputati (2009). Nel luglio 2007 e nell’ottobre 2009, inoltre,’Italians for Darfur' ha promosso e partecipato a due missioni parlamentari in Sudan. La prima con la Commissione Esteri della Camera e la seconda con l’Intergruppo parlamentare 'Italia - Darfur' presieduto dall’onorevole Gianni Vernetti. L'ultimo grande successo istituzionale è stata la raccolta delle firme per la petizione che chiedeva la sospensione della pena di morte per sei bambini soldato del Darfur. In meno di tre mesi sono state raccolte circa 15mila firme. La petizione ha avuto success e i sei bambini soldato del Darfur, condannati a morte, non saranno giustiziati.


Oltre al libro, lei ha realizzato nel 2007 il reportage “Andata e ritorno dall’inferno del Darfur” girato durante il suo viaggio nei campi profughi. Cosa ha visto in quei luoghi che l’intero orbe dovrebbe “vedere”?
“Lo sguardo delle donne e dei bambini dice tutto. Ogni volta che riguardo le immagini che ho scattato ad ‘Al Salam camp’, uno dei luoghi di accoglienza visitati in Darfur, mi percorre lo stesso brivido, mi invade la stessa emozione di quando ero lì, di fronte a loro. Di fronte alla loro rabbia, al loro dolore, alla loro disperazione consapevole della mia impotenza. Pubblicando queste immagini in un volume, oltre che nel video reportage, in cui racconto anche le storie delle vittime delle violenze dei Janjaweed - i predoni arabi armati dal regime di Khartoum per annientare le etnie africane - ho voluto dare la possibilità a chi è pronto ad ‘aprire’ uno spiraglio della propria conoscenza al Darfur, di conoscere questa realtà. Anche se solo una parte di coloro che sfogliando il mio libro si soffermasse a pensare a questa crisi, avrei raggiunto l’obiettivo di aprire gli occhi a qualcuno che altrimenti avrebbe continuato a ignorarla. Oltre, ovviamente, a contribuire alla realizzazione di un ospedale pediatrico in Darfur destinando una parte dei proventi ad Emergency. E questo mi fa sentire un po’ meno impotente”.

(foto: repubblica.it)