Emergenza immigrazione. I campi di accoglienza “ospitalità” in Toscana: la testimonianza di Saba

di Gerarda Pinto

Al termine dell’intervista, Saba non ha chiesto sigarette o qualunque altra cosa che ci si potrebbe aspettare: «Mi dici su quale canale di Facebook metti questa intervista?», dice. «Perché così la mia famiglia,  in Tunisia, mi vede e capisce che sto qui». (Gerarda Pinto)

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L’ANPAS toscana propone il “modello toscano dell’ospitalita. Nel video pubblicato sul sito www.anpasnazionale.org, Sandro Moni, Responsabile Regionale Anpas Toscana Protezione Civile e Coordinamento Operativo Regionale Volontariato, racconta e spiega l'esperienza dei campi di accoglienza.

Si tratta di un nuovo modello per far fronte all’emergenza immigrazione, che fa leva sul senso profondo e innato dell’ospitalità. I migranti sono sistemati in piccoli centri, dislocati in vari paesi, evitando così i centri di accoglienza affollati e gestiti in base ai numeri e non ai rapporti umani, attenuando anche l’impatto con il territorio. L’obiettivo è di coinvolgere completamente gli ospiti, perché qui non si chiamano stranieri, nelle attività di pulizia e sistemazione del centro, ovviamente tenendo conto della volontà partecipativa degli ospiti, aiutati e supportati dai volontari.

La grande macchina ANPAS è carburata dal lavoro costante e continuo dei suoi numerosi volontari, che si occupano di organizzare il sito di accoglienza, di gestire gli uffici anagrafici per censire i nuovi arrivati, effettuano lo screening sanitario e con la collaborazione indispensabile del mediatore culturale, ascoltano le storie diverse e sofferte degli ospiti.

Sono storie che hanno in comune il sogno del lieto fine, ossia trovare lavoro per poi tornare nella patria amata, come racconta Saba, migrante, tunisino. E’ la testimonianza della disperazione e al tempo stesso della sfida contro un destino avverso, un viaggio duro, lungo e tortuoso nelle acque sfuggenti del Mar Mediterraneo.

Di seguito al video troviamo quest’articolo che merita di essere letto, per capire il senso più profondo dell’ospitalità e dell’accoglienza da parte dei volontari, che sentono il dovere di farsi carico di una problematica che riguarda tutti gli italiani ed europei, da un lato; da un altro c’è tutto il peso delle storie che non sono mai raccontate!

“Ci stanno.”

Spesso vengono accostati all’acqua: si parla di piscine, di tsunami umani. Sarà perché vengono dal mare. Sarà perché, come l’acqua, passano dove le porte sono chiuse. In ogni caso: vengono assimilati a qualcosa di liquido, ma ci stanno.

Sono arrivati al campo da poche ore e si dice che alcuni andranno via non appena gli prenderanno le impronte. A fare da mediatore culturale c’è la farmacista di San Rossore che, in arabo e con il velo sulla testa, ha spiegato loro il luogo dove sono, le varie procedure e, per quanto ne sa anche lei, cosa ne sarà di loro nei prossimi giorni. I volontari avevano già predisposto tutto: dalla segreteria allo screening sanitario, fino alla stanza per la preghiera. Dormono nello stesso stabile con gli ospiti: «…basta chiudere la porta a chiave», dicono.

Ora loro stanno qui. Sanno che in Italia non c'è lavoro e sanno che per trovarlo dovranno andare in Olanda, in Belgio o in Inghilterra. Saba è uno di loro: è arrivato a Livorno la mattina del 6 aprile e ora è San Rossore (Pisa). È partito dalla Tunisia il 22 marzo. Ha fatto 20 ore di viaggio in mare, di notte. Poi è arrivato a Lampedusa. Poi è stato due giorni a Civitavecchia. E  ora sta qui. In una mano ha il cellulare e, come i suoi compagni, telefona in continuazione. Quando non telefona, usa il cellulare per ascoltare la sua musica. Nell’altra mano ha il foglio che gli hanno dato i volontari che sono nella segreteria del campo. Quello è l’unico documentoche hanno.

E ancora non sanno niente del loro status: rifugiati? Immigrati? Clandestini?

Saba sta qui perché uno di quelli che ce l’hanno fatta. Sempre ad aprile di due anni fa, mentre tutta Italia guardava a L’Aquila, migliaia di persone partivano dalle coste africane e perdevano la vita: il 31 marzo si persero le tracce di 500 persone. Il 2 aprile ne morirono 300. E già allora si parlava di strage annunciata.

Per evitare le continue tragedie in mare, il Segretario Generale del Consiglio d'Europa, Terry Davis suggerì di «creare - nonostante la crisi economica in atto – opportunità di lavoro nei paesi di origine di questi emigranti». L’Italia siglò l'accordo con la Libia. In quei giorni Maroni dichiarò: «gli sbarchi termineranno il 15 maggio prossimo, quando entrerà in vigore l'accordo siglato dal governo italiano con quello libico sul pattugliamento congiunto delle coste».
Oggi, dopo gli accordi e le rivoluzioni, le persone hanno ricominciato a solcare il mare e a perdere la vita. Altri riescono a finire il viaggio e arrivano. A volte per andare altrove, altre volte per stare qui.

Al termine dell’intervista, Saba non ha chiesto sigarette o qualunque altra cosa che ci si potrebbe aspettare: «Mi dici su quale canale di Facebook metti questa intervista?», dice. «Perché così la mia famiglia,  in Tunisia,mi vede e capisce che sto qui».

Le persone esistono, le storie ci stanno e non sono liquide.