Italia e voto rafforzato: e se il voto giovane "pesasse" di più?

di Francesco Gentile

Aperto il dibattito sulla proposta, rilanciata dal Corriere della Sera, di differenziare il peso elettorale delle giovani generazioni. (Francesco Enrico Gentile)

futuro E se il voto di un giovane under 30 in Italia pesasse, nelle urne, più del voto di un over 40? E se derogassimo al principio sacro di “una testa, un voto” per favorire una riecquilibrio democratico-demografico in un Paese che è sempre più anziano?

L’ipotesi, di per sé, è suggestiva soprattutto in un Paese come l’Italia oggettivamente avviato a diventare sempre più un Paese per vecchi, con conseguente torsione gerontocratica delle scelte politiche e di governo.

Per intenderci: se in Italia l’età media è di 43,5 anni e il tasso di fertilità è di 9,18 nascite/1.000 popolazione e si prevede quindi che tra 40 anni gli over sessantenni saranno 9,5 milioni in più e gli under 60 sei milioni in meno, quante sono le probabilità che i decisori politici assumano scelte in contrasto con gli interessi del gruppo sociale più numeroso? Poche, appunto.

Se il corpo elettorale più numeroso spingerà per ricevere sostegno e tutele attagliate sulle proprie esigenze quante sono le possibilità per la parte più giovane dell’elettorato di ottenere soddisfazione per le proprie rivendicazioni? Sempre poche.

Al netto della capacità o meno delle giovani generazioni di far pesare, nel dibattito politico o nell’azione di governo, le proprie ragioni o esigenze, è molto alta la probabilità che i costi di una politica fatta per soddisfare “ i vecchi” siano pagati dai “giovani” in termini di deficit pubblico, piuttosto che in termini ambientiali o sociali.

Ovviamente, la dicotomia vecchio-giovane è una semplificazione necessaria per rendere chiaro il concetto, sebbene aiuti a capire il senso di quello che potrebbe accadere in Italia tra qualche anno, ovvero un conflitto intra-generazionale forte, giocato non su parole d’ordine astratte ma sulle reali condizioni di vita.

La proposta , che in realtà ha già qualche anno , suscita ovviamente anche reazioni contrarie di insigni studiosi. Tom Ginsburg , docente all’Università di Chicago, vede in essa un ritorno al passato, ad una sorta di voto per censo. Altri ritengono, con argomenti leggermente superficiali, che il voto delle giovani generazioni sia poco consapevole o ragionato.

Al netto di tutto il dibattito è di per sé interessante, soprattutto in Italia e non solo per le sue condizioni demografiche.

È di queste ore la discussione sulla famosa lettera all’Unione Europea contentente le misure che l’Italia intende adottare per far fronte alla terribile perdita di credibilità finanziaria che la sta coinvolgendo.

Tra le proposte vi è quella di una riforma del sistema pensionistico italiano. Favorevoli e contrari si fronteggiano opponendo argomentazioni differenti. C’è chi ritiene che l’intervento sia ineludibile per dare ai giovani un futuro; per altri intervenire sulle pensioni sottrae diritti anche alle giovani generazioni.

Tutto legittimo se non fosse per un piccolissimo dettaglio: si tratta di un dibattito che intercorre tra esponenti del gruppo sociale di cui parlavamo sopra, anagraficamente e forse culturalmente non attrezzati per calcolarne il peso sul futuro del Paese e sulle giovani generazioni.

Forse un maggior peso del voto “giovane” aiuterebbe i decisori politici a guardare meglio la gamma degli interessi in gioco.{jcomments on}