Chiuso il gruppo "Uccidiamo Berlusconi". Facebook e i gruppi della morte

di Anna Laudati

Sono sempre più numerosi i gruppi che inneggiano all’odio nei confronti di personaggi pubblici. Intanto Il ministro degli Interni Roberto Maroni ha fatto chiudere il gruppo che invocava l’uccisione del premier (di Gianfranco Mingione e Anna Laudati)

facebook-berlusconi_bannato.jpg‘Uccidiamo Berlusconi’, è scomparso. A nulla sono servite le difese del titolare del gruppo: "problema di cultura", e "apologia di reato", sono queste le imputazioni mosse contro di loro dal ministro Maroni. Problema risolto? Non crediamo. Sul noto social media c’è ne per tutti: dalle minacce di morte al Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, sito anch’esso  rimosso prontamente poco tempo fa dalle autorità americane, al gruppo incriminato “Uccidete Berlusconi” che ha destato l’allarme della classe politica italiana.

Tra i politici italiani più bersagliati c'è il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini con ‘Ammazziamo Gelmini’, il sindaco di Milano, Letizia Moratti con 'Uccidiamo la Morattì’ creati dai Gruppi Studenteschi. Non va meglio ai leghisti: 'Odio Maroni...odio la Lega’ o il gruppo 'A morte il deputato Salvini’. Difficile digitare il nome di un politico senza imbattersi in fan club o contestatori. Impossibile fare un elenco completo: sono migliaia i gruppi che incitano a colpire fisicamente i politici. Tra i più numerosi 'Aggredisci anche tu Daniela Santanche’ o 'Tira anche tu un pugno a Borghezio’ con oltre 3.700 membri. Il più delle volte i responsabili di questi gruppi sostengono che le loro sono solo delle provocazioni, come nel caso del gruppo “Uccidete Berlusconi”. “Oggi in data 12 ottobre 2009 – ha dichiarato l’attuale amministratore del gruppo – prendo la direzione del gruppo abbandonato dalla precedente amministrazione e non potendone cambiare il nome dichiaro questo un gruppo di affermazioni bizzarre. Personalmente – prosegue – non voglio uccidere nessuno, non voglio incitare nessuno a violare la legge” (fonte la Repubblica 22 ottobre 2009).

Nonostante l’amministratore dichiari che non voglia uccidere nessuno, perché allora il gruppo in questione aveva nel suo nome l’imperativo categorico di uccidere Berlusconi? Fatto sta che nel mentre si cerca una risposta compiuta a questo interrogativo il gruppo è stato chiuso.  Alle volte si sottovaluta la forza espressiva delle parole e la potenza comunicativa di un social media come Facebook. Alcuni numeri per comprendere il fenomeno: 175 milioni gli utenti nel mondo; 10 miliardi le foto negli album; 5 milioni i video caricati ogni mese; 20 milioni i gruppi a cui iscriversi e, dato ancor più interessante, 250 mila le nuove registrazioni giornaliere. L’età media degli utenti si aggira attorno ai trent’anni. Un network giovane, frequentato e adoperato dai un vasto numero di persone a livello planetario. Se da un lato molti vorrebbero la chiusura di tali gruppi – operazione non semplice a detta della polizia postale poiché per rimuovere tali pagine è necessario agire per rogatoria internazionale – non mancano anche le voci contrarie ad una repressione in senso massiccio e generico senza aver prove concrete di reale pericolo per le persone “attaccate”.

La ‘questio‘ è delicata e non di facile risoluzione. Nel nostro Paese vige la libertà di pensiero che può diffondersi con i vari mezzi di comunicazione di massa ed è lecito che ognuno esprima la sua posizione, il suo giudizio o critica verso un gruppo o un determinato personaggio pubblico. Il più delle volte dietro a queste “creazioni” di basso profilo si celano individui che tutto sembrano tranne che terroristi o pericolosi attentatori. Resta però una grande domanda: cosa è lecito e cosa non è lecito dire nel mondo della  ipercomunicazione o comunicazione.3? Si riusciranno a stabilire delle regole certe e chiare che facciano da spartitraffico nella fitta e complicata rete del web? Quella di far sparire il gruppo dei cospiratori virtuali di Berlusconi, che fino a poche ore fa contava circa 13mila iscritti,  non è una soluzione ma anzi manifesta la volontà di rinviare il problema a  fin quando noi tutti, artefici e fruitori dei socialnetwork, non impariamo la deontologia del web, cioè  un codice di autoregolamentazione che mette in chiaro che quella del web seppur è una realtà virtuale non per questo è esente da danno e quindi da condanna.