Una pubblicità mortale. Lo spot pro eutanasia

di Anna Laudati

L’associazione Luca Coscioni e il Partito Radicale riaccendono lo scottante dibattito sull’eutanasia, importando il filmato australiano diffuso dall’associazione Exit Internetional, sul diritto alla morte. Ci chiediamo e in molti, come Avvenire, se è ammissibile pubblicizzare un reato attraverso i media. Guarda il video. (Gerarda Pinto)

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Un malato, ripreso in primo piano, si rivolge alla telecamera e scandisce le seguenti parole:” La vita è questione di scelte, certamente non ho scelto di essere malato terminale e certamente non ho scelto che la mia famiglia debba vivere questo inferno insieme a me. Ho fatto la mia scelta, ho solo bisogno che il governo mi ascolti”.

Lo spot, che circola già in rete, è pronto per essere trasmesso su Telelombardia, ma serve il via libera del garante per le telecomunicazioni. L’iniziativa è stata presentata ieri a Milano da Marco Ceppato per i radicali, dal direttore di Telelombardia, Fabio Ravezzani e da Mina Welby. I promotori cercheranno di trovare spazi anche sulle tv nazionali, se ci saranno fondi.

L’intento dello spot è rompere il silenzio che circonda una questione così delicata. E’ difficile parlare della morte, ma lo spot, anzi la voce di un malato si fa espressione della sua dignità.

In Italia l’eutanasia è illegale, ma l’opinione pubblica si divide: da un lato, c’è chi ritiene che nessuno abbia il diritto di togliere la vita, staccare la spina, negare l’ultima possibilità; dall’altro, chi afferma che la vita legata alle macchine non sia altro che un prolungare l’agonia di un'imminente morte.

Il dibattito si riaccende e anima polemiche ogni qual volta si presenta una situazione da risolvere. Due sono i casi che, in passato, hanno permesso di focalizzare l’attenzione sul senso della vita e della morte.

La storia di Piergiorgio Welby, impegnato personalmente per il riconoscimento legale del diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico in Italia, è diventata un caso mediatico, e lo è diventato anche il suo epilogo. Welby riteneva che “la vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo testardo e insensato accanimento nel mantenere attivo le funzioni biologiche”. Da questa sua dichiarazione si deduce una disperata ricerca di morte.

Sulle note di Bob Dylan, secondo la sua volontà, è stato sedato e gli è stato staccato il respiratore. Il medico che l’ha aiutato a morire è stato imputato per omicidio, successivamente prosciolto. Così ha smesso di vivere anche Eluana Englaro, dopo diciassette anni passati in stato vegetativo, in seguito a un incidente stradale.

La richiesta, in questo caso, è stata presentata dalla famiglia, stremata dall’attesa che un miracolo che non è arrivato. Così Eluana è “volata sopra le parole, sopra quella convinzione di avere la verità”. Così cantava Povia nella sua canzone “La verità”dedicata a Eluana e alla sua famiglia.

Le storie simbolo della “dolce morte” ci hanno indotto a interrogarsi sul senso della vita e al tempo stesso della morte, la prima è affermazione, la seconda è negazione. La malattia, che non consente all’uomo e alla sua dignità di potersi affermare, diventa ostacolo, agonia, sofferenza. Coinvolge le famiglie che mantengono sempre teso il filo della speranza, ma che devono tenere conto del fatto che le macchine prolungano una non affermazione.

Ma chi può scegliere il limite tra vita e non vita? E’ una responsabilità grande che coinvolge la coscienza individuale, la propria dignità ma anche la Chiesa, le istituzioni e il malato stesso.

Guarda il video: