Autismo ed integrazione sociale: mission possible

di Ornella Esposito

Spente le luci blu sui monumenti-simbolo di molte città del mondo, illuminati per la V Giornata Internazionale dell’autismo, i bambini e le loro famiglie proseguono la vita di tutti i giorni tra difficoltà e speranze. ServizioCivileMagazine vuole continuare a parlare di autismo, e lo fa con un’intervista al Presidente dell’Associazione Autism Aid. (Ornella Esposito)

Autism_aid_logo La diagnosi di disturbo dello spettro autistico cade come un macigno sulle spalle di un padre ed una madre, è violenta come  uno schiaffo in piena faccia. Per un momento è il buio totale, poi si incassa il colpo e ci si rimbocca le maniche. Questa è l’esperienza comune a tutti i genitori dei bambini affetti dal disturbo dello spettro autistico, tanti nel mondo. Nel 2012, secondo le stime del Center for Disease Control and Prevetion degli Usa, l’11,3% di bambini risulta affetto da questo disturbo.

Nonostante l’attenzione pubblica sia aumentata, l’autismo non fa notizia. Invece bisogna parlarne, per abbattere i pregiudizi e rinforzare l’idea che i bambini autistici posso vivere integrati nella società, e non chiusi nelle gabbie del loro disturbo.

Per questo motivo il dott. Antonio Minguzzi  ha raccontato al ServizioCivileMagazine la sua  duplice esperienza di genitore di un ragazzo autistico e Presidente  dell’Associazione Autism Aid di Napoli.

Com’è nata l’Associazione?
L’Associazione è nata nel 2004 da un gruppo di genitori di bambini affetti dal disturbo dello spettro autistico, reduci dall’esperienza maturata negli U.S.A. presso il Miami Children's Hospital dove siamo stati per molto tempo per curare i nostri figli. Riflettendo sull’esperienza, abbiamo capito che in America non sono migliori di noi, perché qui in Italia abbiamo un buon sistema di welfare, tendente all’inclusione sociale, almeno nei principi.
Quando ti dicono che tuo figlio è affetto da autismo, il colpo è durissimo, poi dici “ok, mio figlio è autistico” ed inizi a darti da fare.

Qual è la mission dell’Associazione?
La nostra mission è quella dell’integrazione sociale della persona disabile, della difesa dei suoi diritti e delle pari opportunità, nonché quella di assicurargli il massimo sviluppo delle potenzialità,  dell’ autonomia personale, sociale e lavorativa.
In America, possiedono dei centri molto belli, funzionano a meraviglia ed i bambini sono assistiti alla perfezione, ma sono centri dove ci sono solo persone autistiche che non stanno insieme a quelle “normali”.
Noi pensiamo che il bambino autistico deve essere incluso in contesti di normalità, anche se non è facile e gli ostacoli non sono pochi, e c’è necessità di una formazione specifica degli operatori.

Quali sono le vostre attività?
Proprio perché crediamo fortemente nell’integrazione sociale, diamo molta importanza all’attività sportiva. Siamo partner della Fondazione Girasole che a Giugliano gestisce una piscina, dove i bambini autistici e con altre disabilità  praticano il nuoto. Siamo collegati alla Federazione Canottaggio per la pratica di questo sport, e organizziamo corsi di atletica al Circolo Posillipo . Inoltre, collaboriamo con le scuole e le università per lo sviluppo di tecnologie innovative e migliorative della frequenza scolastica. Per esempio, abbiamo avviato in due scuole di Napoli, la sperimentazione del banchetto tecnologico. Grazie alla collaborazione con aziende che si occupano di tecnologia, abbiamo sviluppato un computer da  montare sul banchetto di scuola e che utilizza il linguaggio appropriato al bambino autistico; i docenti, con l’ausilio dell’insegnate di sostegno e con gli opportuni adattamenti del programma curriculare, possono preparare la lezione del giorno cosicché il bambino possa partecipare alle attività che fanno tutti gli altri compagni di classe.
Autism Aid svolge anche attività di socializzazione attraverso l’organizzazione di campi estivi, gli happy land, e naturalmente offre consulenza e sostegno alle famiglie dei soggetti disabili.

Come vi sostenete?
In primis, grazie ai fondi di privati cioè amici, parenti ed un piccolo contributo delle famiglie poi partecipiamo ad alcuni bandi pubblici, oltre ovviamente ad usufruire del 5 per mille.
Ritengo importante che vi sia anche un piccola partecipazione economica delle famiglie perché, a volte, l’erogazione totalmente gratuita di un servizio lo rende meno apprezzabile.

 

Secondo la sua esperienza, esiste una presa in carico “pubblica” delle persone affette da autismo?
L’attenzione verso questo disturbo è cresciuta negli anni, ma le risposte operative non sono ancora soddisfacenti. La scuola ha fatto molti passi in avanti, ma il cammino è ancora lungo.

Qual è la preoccupazione principale per un genitore di un bambino autistico?
Il cosiddetto “dopo di noi”, cioè chi si occuperà di nostro figlio quando noi non ci saremo più. L’unica strada percorribile, è quella di creare strutture di accoglienza sostenute economicamente per 1/3 dalle famiglie, 1/3 da fondi pubblici ed un altro 1/3 da privati. In considerazione dello scenario attuale così difficile economicamente, mi sembra l’unica possibilità razionale di sostenibilità di queste strutture.

Un’ultima domanda, che cos’è per lei l’autismo?
È un malattia che modifica la vita di una famiglia molto più di quanto non si pensi e si veda dall’esterno.

Per approfondimenti, consultare il sito www.autismaidonlus.org.