Bambini fuori dalle carceri, non luogo a procedere. Aspettando i decreti attuativi

di Ornella Esposito

Legge 62/11 “Disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”, mancano i decreti attuativi. I bambini rischiano di rimanere in carcere fino all’età di sei anni. Intervista a Federica Giannotta della nota Ong Terre Des Hommes, da sempre impegnata su questi temi. (Ornella Esposito)

bambiniincarcereappello Esattamente un anno fa il Ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna, tra molte polemiche, esultava per l’approvazione del decreto che tutela il rapporto tra le detenute madri ed i figli minori.

 

Peccato che, ad una anno dall’approvazione della legge, non siano stati approvati i conseguenti decreti attuativi che eviterebbero non solo la sua applicazione in maniera discrezionale da parte dei giudici, ma addirittura il paradosso che i bambini restino dietro le sbarre il doppio di quanto previsto dalla precedente normativa.

Le recenti dichiarazioni del Ministro della Giustizia, Paola Severino: «In un Paese moderno offrire ai bambini, figli di detenute, un luogo dignitoso di crescita, che non ne faccia dei reclusi senza esserlo», fanno ben sperare per i 57 minori attualmente “detenuti” insieme alle loro madri. Tuttavia, le organizzazioni a tutela dei bambini, continuano ad esprimere forti perplessità. Lo scorso anno ServizioCivileMagazine si occupò dell’argomento, ed ora ritorna a  fare il punto della situazione con Federica Giannotta, responsabile dei diritti dei bambini della nota Ong Terre des Hommes.

Lo scorso anno veniva licenziato il ddl sulle detenute madri, cui sarebbero dovuti seguire i decreti attuativi. Ad oggi non ve n'è traccia. Quali sono i rischi di una loro mancata approvazione?
L’attuale situazione di limbo dovuta all’assenza del decreto attuativo della L.62/2011, sta causando forte incertezza rispetto al destino di decine di bambini detenuti con le loro madri. La disciplina non è chiara, e può essere interpretata in modo addirittura peggiorativo per i bambini rispetto al passato.
Un esempio lampante è quello della carcerazione in via cautelare. La nuova legge ha previsto il divieto di applicare questo tipo di misura alle donne con bambini fino ai sei anni di età (prima era fino ai tre anni). Benché lo spirito della norma punti ad evitare il carcere in via cautelare ad una fascia maggiore di bambini, di fatto così come formulato il testo di legge senza i decreti attuativi, il rischio cui si va incontro è che i bambini restino in carcere fino a sei anni, mentre prima della riforma il divieto di detenzione cautelare di bambini oltre i 3 anni era assoluto.

La vostra organizzazione, insieme a molte altre, manifestò perplessità sul testo di legge e ne indicò delle modifiche. Quali erano le principali perplessità?
In primis quella appena citata, ossia il rischio che la norma relativa alla carcerazione cautelare, così formulata, fosse foriera di interpretazioni rischiose per il bambino.
Le altre perplessità erano relative alla questione della salute e cura del bambino, delle donne straniere e della esecuzione della pena.
Nel primo caso, la norma così formulata, ancora una volta non garantiva la presenza della madre accanto ai propri figli in caso di ricovero e/o problemi di salute. E questo problema non è stato risolto sulla carta.
La norma, infatti, continua a fare la distinzione tra visita e assistenza. Noi avevamo spinto affinché venisse recepito il concetto universale di ‘assistenza’, declinandolo in modo tale da garantire sempre e comunque la presenza della mamma accanto al suo bambino.
Rispetto alla questione delle donne straniere, resta invariato il principio dell’espulsione a fine pena della donna, senza alcun riguardo per le esigenze di protezione e inserimento sociale del bambino.
Infine, tutti i limiti più volte evidenziati della legislazione precedente (cd. legge Finocchiaro) rispetto alla possibilità di accedere agli arresti domiciliari speciali, in fase di esecuzione pena, restano pressoché  invariati. Per ottenere gli arresti domiciliari, occorre ancora aver scontato un terzo della pena e non essere recidive.
La nuova legge dice solo che è possibile scontare quel terzo della pena in Istituti a custodia attenuata (ICAM) e/o case famiglia protette (solo se non vi sia rischio di recidiva), ma entrambi i requisiti di cui sopra restano necessari.

Le vostre osservazioni sono state in un qualche modo recepite?
No. Per questo abbiamo promosso un ciclo di convegni volti a sensibilizzare le autorità giudiziarie competenti, affinché applichino la norma in maniera coerente e quanto più aperta e positiva possibile.

La legge prevede l'attivazione di case famiglia protette, strutture dove le detenute madri, senza dimora e con figli fino a dieci anni, possono scontare la pena. Il tutto senza oneri per l'amministrazione penitenziaria. Da chi saranno finanziate?
Mentre per gli Istituti di custodia attenuata, di fatto strutture penitenziarie gestite dall’Amministrazione Penitenziaria, è previsto un piano di investimenti chiaro (11.000 miliardi di euro), e sappiamo che sono già in costruzione a Venezia, Torino, Firenze, Roma, per le case famiglie protette la legge dice che non potranno avere alcun costo per lo Stato.
Terre des Hommes è molto perplessa rispetto a questo perché, di fatto, lo Stato privilegia le ICAM cioè strutture detentive a tutti gli effetti e non le case famiglia protette. Ma non stavamo parlando di far uscire i bambini dalle carceri?

Per ulteriori informazioni, consultare il sito www.terredeshommes.it.