“LA-BAS”, viaggio ai margini dello sfruttamento. Intervista al regista Guido Lombardi

di Ornella Esposito

Vincitore di due premi al Festival di Venezia, il film d’esordio di Guido Lombardi sta facendo incetta di riconoscimenti. Ora è candidato al David di Donatello. ServizioCivileMagazine ha intervistato il regista. (Ornella Esposito)

guido_lombardi “La- Bas”, opera prima del napoletano Guido Lombardi, non è tanto un film sulla strage di Castelvolturno, quanto un riflettore acceso sulla drammatica condizione dei migranti nel sud dell’Italia. Una pellicola che, seppur colpendo duro allo stomaco, è necessaria perché di immigrati se ne parla tanto ma delle loro condizioni di vita ancora troppo poco.

Guido Lombardi l’ha fatto, ed ha affrontato il tema attraverso gli occhi dei migranti. Il  titolo “la-bas” ( laggiù n.d.r.), infatti, non è solo un gioco di assonanze col dialetto napoletano “labbasc” che ha il medesimo significato, ma l’ottica stessa del film, recitato in lingua francese ed inglese. La- bas, è per un immigrato il luogo lontano da raggiungere per realizzare il proprio sogno.

Un sogno, quello di Yussouf di fare soldi per acquistare un macchinario grazie al quale realizzare le sue sculture, che vediamo infrangersi già dopo le prime scene. Arrivato a Castelvolturno in cerca dello zio, il protagonista è ospitato nella casa delle candele (così battezzata perché spesso manca la corrente elettrica), viene sfruttato dal padrone di un autolavaggio (“qui sono tutti stronzi” dice Yussouf), per poi scoprire che lo zio è ricco perché fa parte di un circuito criminale, ed infine innamorarsi di Suad che si prostituisce.

Ne parliamo con il regista Guido Lombardi.

la_bas_posterPerché un film sull’immigrazione?
È stata una coincidenza. Ho conosciuto  Kader [attore protagonista,n.d.r.] circa sette anni fa perché facevo l’operatore su un cortometraggio e lui recitava una piccola parte, poi lui mi ha presentato Moses [altro attore protagonista,n.d.r.]. Io lavoravo come operatore video per le feste organizzate dagli africani sul litorale domizio, e nelle discoteche africane vedevo alcuni personaggi vestiti in maniera molto kitsch; domandando a Kader e Moses chi fossero, ho appreso che erano persone diventate ricche grazie ai traffici illeciti.
Frequentando quei luoghi, si sa che vi sono intrecci criminali tra i casalesi ed alcune comunità africane, così ho iniziato a scrivere la storia. Nel frattempo è successa la strage di Castelvolturno, e l’ho inserita nel film.

Tu sei anche sceneggiatore oltreché regista. Per scrivere la sceneggiatura  hai raccolto storie vere?
Si,ho messo insieme molti racconti che mi sono stati fatti, alcuni dei quali sono di gran lunga peggiori di quello che si vede nel film. Alcune storie l’ho anche inventate perché mi sembravano logiche, per esempio all’inizio quando il protagonista arriva a Castelvolturno e non trova lo zio. Kader mi ha spiegato che succede a molti di loro: arrivati in Italia non trovano ospitalità presso amici e parenti perché questi non sono ricchi come loro pensavano, e non possono aiutarli.

Cosa hai provato mentre scrivevi la sceneggiatura del film?
Sono stato molto influenzato da un viaggio che avevo fatto in Burkina Faso dove accompagnavo, come operatore video, un gruppo teatrale italiano che faceva un scambio con un gruppo teatrale del posto. Il regista metteva in scena uno spettacolo intitolato “Aller la-bas”, di qui lo spunto per il titolo del  mio film, diviso in due atti. Il primo, in cui c’era tutto il discorso sull’opportunità o meno di partire, il secondo narrava lo sfruttamento subìto da molti africani nei paesi in cui erano emigrati. Ciò che mi aveva più colpito era l’iniziale ingenuità con cui gli africani affrontavano il viaggio ed io, attraverso la storia di Yussouf cui viene proposto di entrare nel circuito criminale, ho voluto mettere in evidenza la perdita dell’innocenza. Ma alcune storie vere, sono peggiori di quelle del protagonista.

Il tuo film racconta una storia dal punto di vista del migrante. Quanto è stato difficile metterti nei panni di un immigrato, non essendo tale?
Mi ha aiutato il fatto che il protagonista è un disegnatore, uno scultore, una persona più vicina a me [i disegni che si vedono nel film ]sono miei,  n.d.r.]. Preziosi sono stati i racconti di Kader e Moses cui ho fatto leggere la sceneggiatura più volte, e loro mi hanno dato indicazioni su cosa fosse verosimile e cosa assolutamente no. La-bas è stato considerato un film innovativo perché parla del tema dell’immigrazione attraverso gli occhi di un immigrato, ma io credo che non vi siano altri modi per parlare di questo tema.
Attraverso il mio film, inoltre, si vede che l’immigrazione è cambiata. In Italia oggi si viene per realizzare il proprio sogno, non per fare qualsiasi cosa come succedeva un tempo.

Avete avuto difficoltà nel girare il film?
Si, perché ho distribuito in loco dei volantini per reclutare attori. Una domenica mattina, mi ha chiamato il Sindaco Scalzone [indagato nell’ambito di un’inchiesta della Dda,n.d.r. ] chiedendomi cosa fossero questi volantini e cosa volessimo fare sul suo territorio, e ci ha esortati ad andarcene. Abbiamo girato quasi di nascosto.