Terremoto. 23 novembre 1980. Dopo trent’anni una testimonianza dall’Irpinia che non dimentica

di Gerarda Pinto

Ancora oggi in molti paesi dell'avellinese resta il segno tangibile della tragedia ancora presente: interi quartieri in prefabbricato, oltre alla traccia indelebile nella memoria di chi si è salvato. Ormai ai propri figli e alle future generazioni la si racconta come una storia per fortuna ormai lontana ma che l'Irpinia non vuole dimenticare. (Gerarda Pinto)

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«Ad un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano» - Alberto Moravia.

23 novembre del 1980. Scorrono le ore lente, tranquille, serene di una domenica di novembre, piacevolmente calda a Gesualdo, un piccolo borgo medievale nella provincia di Avellino. Tutti pronti per partecipare alla festa in onore della Madonna degli Afflitti. Le note suonate dalla banda, i canti, le preghiere, le chiacchiere dietro alla processione facevano sentire i paesani gioiosi, nella normalità di un giorno di festa, dopo una settimana di duro lavoro. Erano lontane dalle loro menti le preoccupazioni quotidiane, il pensiero del giorno seguente. Si camminava insieme verso la chiesa, per le strade del paese, senza guardare attentamente le case, i posti frequentati ogni giorno, il castello che domina. Tutto questo era sempre stato lì ed era lì pronto ad accogliere di nuovo tutti dopo una giornata di festa. La chiesa, luogo di raccoglimento, attendeva i suoi fedeli. Tutti vi entrano e ascoltato la mesta funzione.

Poi il boato, la polvere, i crolli, le urla, il terrore, la morte, il vuoto. Ore 19:37 la terra trema in Irpinia .

La gente resta bloccata in chiesa presa dallo sgomento, incredula, chiusa tra quei muri che hanno retto, nonostante tutto. coloro che si trovano in piazza sentono uno “stormo di aerei” volare basso sulla loro testa, le luci si spengono, mentre cadono calcinacci e tegole con la poca luce della luna intravedono la strada che si muove come un'onda. Le facce terrorizzate, le mani toccano la propria vita, cercano i propri cari. Usciti dalla chiesa, si presenta uno scenario surreale, le case sottostanti il castello si sono accasciate su loro stesse, si sono piegate alla forza della terra, il buio invade ogni angolo. L’unico pensiero è correre a casa, assicurarsi che la mamma anziana, i figli piccoli stiano bene. Il disorientamento lascia spazio all’esigenza di ritornare al più presto alle proprie dimore.

Ma non tutti ci riescono, c’è chi trova la strada sbarrata, interrotta da un muro di un edificio venuto meno; c’è chi trova un cumulo di pietre che ha sommerso una vita vissuta; c’è chi lancia un urlo di disperazione, immaginando i propri affetti sotto quel cumulo e comincia con tutta la disperazione e la forza rimasta in corpo a scavare, come se ancora la speranza li stesse guidando. Il sopraggiungere della sera si distende su questo scenario. Il buio regna sovrano, la paura ritorna, sempre e ancora più forte, la terra non ha smesso di tremare. Ripiomba il silenzio, la gente cerca rifugio nelle campagne. Il ritmico scorrere delle lancette si è interrotto con le vite dei terremotati. Li attende una notte lunghissima. Le prime notizie passano alla radio, ci si rende conto a poco a poco dell’immane catastrofe che ha colpito i comuni limitrofi, segnando per sempre il cuore dell’Irpinia.

Una forte scossa di magnitudo 6.5 della Richter, della durata di circa 90 secondi ,con un ipocentro di circa 30 km di profondità aveva colpito un'area che si estendeva dall'Irpinia al Vulture, posta a cavallo delle province diAvellino, Salerno e Potenza. Tra i comuni più duramente distrutti c’erano Sant'Angelo dei Lombardi, Lioni, Torella dei Lombardi, Conza della Campania, Teora, Laviano, Calabritto, Senerchia e altri paesi limitrofi. Nel giorno seguente è giunto l’aiuto dei primi volontari. Con molta fatica si è cercato di soccorrere i feriti, tirare fuori i morti, arrangiare un primo censimento. Il dolore comune ha incrementato la solidarietà reciproca. Tanto il tempo necessario affinché si prendesse atto dell’accaduto, ancora maggiore il tempo impiegato per ricominciare.

Solo dopo giorni la consapevolezza di una tragedia che poteva essere ancora più grande, se non fosse stato un giorno di festa. I luoghi più popolati, che circondano il castello, quasi completamente rasi al suolo; quelle stesse case che in un giorno qualunque all’imbrunire accoglievano intere famiglie. Quasi uno scherzo del destino. La chiesa aveva garantito la salvezza della maggior parte degli abitanti. I giorni duri, le attese, la speranza di ritornare a una vita “normale” si sono prolungati estremamente. La ricostruzione è stata lentissima. Ancora oggi in molti paesi restano gli scenari surreali, il segno tangibile della tragedia è ancora presente: interi quartieri in prefabbricato, oltre alla traccia indelebile nella memoria di chi si è salvato. Ormai ai propri figli, alle future generazioni la si racconta come una storia lontana.

"Io, figlia di terremotati, custodisco e riporto le vicende del 23 Novembre del 1980, affinché non sia una storia poi così lontana" - Gererda Pinto.