Roland Barthes. “Dove lei non è": l'amore che sopravvive alla morte

di Anna Laudati

Quando il dolore è troppo grande da non poter essere espresso più con le lacrime e il silenzio non resta che sviscerarlo con le parole. Frasi scritte qua e là, al margine di fogli, righe senza senso né punteggiatura, perché la mancanza non può essere contenuta sulla carta tra punti e virgole. (Gerarda Pinto)

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E’ un diario custode della propria quotidianità, così diversa ora che lei non c’è più, non è un “caro diario”amico delle sofferenza, ma un alleato per scoprire la formula del proprio vuoto, un’analisi attenta della terminologia che concerne il lutto, a volte troppo scarna per poterlo esprimere. Un’osservazione che accompagna ogni singolo giorno il mondo circostante, l’incomunicabilità delle proprie sensazioni,  "un malessere continuo intervallato da momenti di sconforto”, quando tutto ti scortica e basta un niente per sollevare l’abbandono. “Sopporto male gli altri, il voler-vivere degli altri, l’universo degli altri. Attirato dalla decisione di ritirarmi dagli altri”.Così scriveva Roland Barthes il 16 gennaio 1978, dopo pochi mesi dalla morte della madre.

All’indomani della grave perdita, Roland Barthes inizia un diario, scritto a penna e talvolta a matita, su foglietti di carta che lui stesso prepara. Scriverà per due anni, e resterà inedito fino al 2010.

“DOVE LEI NON E’” è la narrazione frammentaria di un dolore, dello scandalo del linguaggio umano che non sa dire la morte. Un contenuto intimo, un percorso interiore e privato che svela nel lettore un amore assoluto,infinito,unico ed esclusivo. L’elaborazione del lutto secondo gli psicoanalisti richiede diciotto mesi, Roland Barthes, a un anno dal lutto più grande che lo abbia colpito, si stupisce di come sia assurdo “misurare il lutto” e circoscriverlo in un lasso di tempo così breve.

“Questa notte per la prima volta l’ho sognata”.Il 4 novembre appunta questo pensiero, pensa al contatto,seppure fugace, nel sogno con la persona che non è presente, immaginarla “stesa,ma non malata”.Il primo sogno che la riconduce alla sua memoria ma che ricorda e impone la sua assenza al risveglio. Una pagina contiene l’essenza della solitudine che si manifesta nel “non avere nessuno a casa a cui poter dire:tornerò alla tale ora, o a cui poter telefonare”. Pensiero semplicistico, che sfiora il nostro umore molte volte nella vita, ma qui assume una nuova valenza, la solitudine è accettare la "presenza della sua assenza".

“C’è un tempo in cui la morte è un avvenimento, una ad-ventura, e, a questo titolo mobilita, interessa, tende, attiva. E poi un bel giorno è un’altra durata, compressa, insignificante, non narrata, senza rimedio”. Poche righe che riescono a riassumere il senso e il durare di un sentimento sempre acceso che cambia forma, non sostanza.

Dopo un anno scrive che “non si dimentica ma qualcosa di atono si installa in noi”. Passano i giorni e le parole diventano uno “scalpellino” per scavare nel dolore, anestetizzarlo, convivere con esso, sopportarlo, accettarlo e sposarlo come un compagno fedele.

Quanto amore si nasconde dietro un’espressione continua e frammentaria di un sentimento così grande, che è associato al vuoto, alla perdita e che in realtà svela la presenza costante di una persona nonostante la sua morte.

Nessuno può impedire di custodirne il ricordo, di portarla con sé, di scrivere su di lei, di credere che si manifesti in altra forma, di aspettare la notte per sognarla. La sua casa e la vita delle persone che l’hanno amata diventano il luogo dove “lei non è” , dove lei non ride, parla, ama e soffre ma si trasforma nel posto dove lei ha vissuto, ha costruito, ha amato, che conversa e avverte la sua assenza.

(foto: wordpress.com)